Fated is what you can’t explain, so it’s best to just listen.”

Quando il disco riparte, non me ne accorgo. Non c’è silenzio, anzi, ma le voci, gli sbuffi, gli echi (èco (ant. ècco) s. f. o m. [dal lat. echo, gr. ἠχώ] pl. echi, unicamente masch.) si fondono a ciò che mi succede attorno e mi ritrovo alla seconda traccia senza aver ascoltato niente, ogni volta. La seconda traccia, ad essere onesti, è poco più che una continuazione della prima – nonostante ciò, con i suoi 3:22 minuti è la più lunga dell’intero album – e così guardo le pareti o leggo un articolo, mangio le unghie e mi mordicchio le dita finché i suoni di Realize mi ricordano ciò che stavo facendo, ma dura solo un minuto o poco più e poi di nuovo, un altro minuto e mezzo di aria, suoni tirati, variazioni e il volume che scende.
Nosaj Thing è cambiato parecchie dalla sua ultima uscita, ripresentandosi come una sorta di Daniel Lopatin davvero, davvero molto timido.
Lontano dalle ripetizioni, dalle finte e dalle divagazioni continue dello statunitense, Jason Chung monta uno scenario sci-fi in chiave moderna, come a dire che fa delle cose normalissime però da una navicella che orbita attorno la terra, e quello che ne è esce è proprio il rumore che si sentirebbe se il suono potesse propagarsi nello spazio (in realtà si sentirebbero più che altro i rumori delle esplosioni di stelle lontane anni luce, dei pianeti e il suono della terra stessa, ma facciamo finta).

Fated ha molte cose dentro di sé, di natura diversa, disparate provenienze musicali, e non c’è alcuna contesa per farsi sentire, per essere riconosciuti, identificati. Ogni tanto si apre una piccola finestra su una porzione di mondo, ma prima che una qualunque cosa possa sfuggire di mano viene ricondotta alla calma e poi quietata del tutto, ogni volta. Si potrebbe prendere ad esempio il percorso di Light #5, che inizia in Drift con la #1 e passa per la #3 in Home; ascoltando questi tre pezzi in sequenza si nota la progressiva eliminazione dei suoni in primo piano per fare posto ad uno scenario di fondo sempre più ricco e sfumato. Messi quasi totalmente da parte anche i glitch, resta un’ambient tutt’altro che scarna o asettica, ma con alcune grosse limitazioni. Nel creare il mood che più gli piace, Nosaj alle volte dimentica che c’è un ascoltatore dall’altra parte, e se la scarsa durata delle tracce aiuta a perdersi al loro interno, rende anche più difficile ricordarsene una volta finita la musica, un limite non proprio piccolo. In ogni caso il disco si fa ascoltare più e più volte, ed il trittico Moon/Erase/Medic continua a commuovermi, ogni volta.

Tracce consigliate: Moon, Medic