Death is real
Someone’s there and then they’re not
And it’s not for singing about
It’s not for making into art

A Crow Looked at Me è un disco unico: parla della morte, nel modo più onesto e spiazzante possibile, assimilando morte dal primo all’ultimo secondo. Ogni morte è diversa ed i sentimenti possono essere anche i medesimi, ma le sensazioni, le voci, la percezione del lutto, quelle restano personali. Geneviève Castreé era la giovane moglie di Phil Elverum; Elverum ha scritto e registrato questa lettera alla sua defunta moglie nella stessa camera dove lei ha spirato. Noi siamo fuori dalla porta ed appoggiamo l’orecchio per sentire cosa accade e dentro a quel microscopico angolo di universo entriamo direttamente nel suo cuore, nella sua pura intimità, invadiamo la sua privacy ascoltando parole che dovrebbero restare solamente dentro di lui; siamo fantasmi che ascoltano il dolore di un uomo che vuole farsi forza, ed è proprio qui che l’ascolto e la critica di A Crow Looked at Me si galvanizzano, di fronte ad un dolore per cui qualsiasi numero o giudizio perde completamente di valore.

I reject nature, I disagree

Usare il moniker Mount Eerie, e non il suo nome, è il modo per utilizzare il suo lato da musicista, il suo personaggio artistico per non dover essere pietoso, per non ricevere carità di alcun genere, assorbire il lutto e lasciarselo alle spalle, con una figlia da crescere ed accudire senza la sua ancora di salvezza. È quasi superfluo parlare del disco, che scivola omogeneo con un purissimo stile più vicino a The Microphones che alle bordate drone e telluriche del Mount Eerie di Wind’s Poem e Ocean Roar; la voce è carica d’amore e di tristezza, non c’è sospensione della realtà ma cruda accettazione mantrica. La chitarra acustica è l’amica più cara e sempre vicina e presente, mentre il piano, il basso e delle percussioni minimali troveranno il loro spazio senza mai esagerare, lasciando alla voce il ruolo centrale.

We are all always so close to not existing at all, except in the confusion of our survived-by’s grasping at the echoes

A Crow Looked at Me è molto più vicino ai lavori di Bill Callahan o Sun Kil Moon di quanto possa esserlo ad altri dischi recenti il cui argomento principale era la morte; a differenza di David Bowie o Nick Cave, in cui le melodie e le strutture musicali sono ricercate e studiate, qui sono la semplicità e l’immediatezza ad impadronirsi del disco. Ancor più che in Carrie & Lowell – il cui minimalismo si piegava comunque alla melodia – qui quel che fa da contorno alle parole è ridotto volutamente all’osso: Elverum lo dice in Real Death e lo ripete più volte che la morte è reale e che questo disco non cerca espiazione, non pretende di idealizzare, generalizzare o parlare ad altri che non siano loro due.

I realized that these photographs we have of you are slowly replacing the subtle familiar memory of what it’s like to know you’re in the other room

Quell’angolo di universo è (di) Phil e Geneviève, e da spettatori e critici ci fermiamo davanti alla porta, imbarazzati e dispiaciuti di aver invaso, per 40 minuti, quell’intimità. A Crow Looked at Me è un dolore che non ci è dato di comprendere ed è superfluo commentare. La vita e la morte sono tutte qui:

I don’t want to learn anything from this
I love you.

Tracce consigliate: Real Deathseaweed

[Grazie Claudia Viggiano per aver condiviso con me la stesura di questa recensione]