Ho scoperto i Mothers grazie ad un live di Audiotree consigliato dalla barra destra di YouTube; quattro pezzi su cui ho consumato il tasto replay, anche perché fino a qualche settimana fa ‘mothers’ era solo una parola con 195 milioni di risultati su Google, e ci è voluto un po’ per scoprire che la band di Athens (Georgia) avrebbe solo di lì a poco rilasciato il primo album: When You Walk a Long Distance You Are Tired.

A differenza del lo-fi solitamente prodotto da Wichita, i Mothers si distinguono subito per un’attenzione al suono millimetrica ed una sezione ritmica modellata magistralmene attorno alla voce eterea di Kristine Leschper. È lei il cuore dei Mothers, che inizialmente dovevano rimanere un progetto solista, lei che ha una di quelle voci che è impossibile dimenticare e che anche paragonare risulta difficile, ma ricorda molto Angel Olsen con dei tratti di Sharon Van Etten misti a Joanna Newsom.
Quel che distingue Kristine Leschper da altre belle voci facilmente intrappolate nel folk è proprio la presenza della band, il cui corpo si fa minimale nei momenti più folk, drammatico negli archi ed esplosivo nel mescolare indie rock, post-rock e una piccola dose di math rock. Quel che è in apparenza folk in Too Small for Eyes si evolve gradualmente grazie al piano e poi al violino, così come fa con la struggente Nesting Behavior o con le percussioni atmosferiche di Burden of Proof. A metà strada troviamo la doppia voce della straziante ma più arrabbiata Blood-letting (“I crawled back into myself alone”) e la complessità strumentale di Hold Your Own Hand. La coda di Hold Your Own Hand ha una forte impronta post-rock che nell’album fa capolino spesso e volentieri sia in modo più esplicito (Accessory Cloud) che nella variante jangle pop (Copper Mines, It Hurts Until It Doesn’t), ma che in realtà fa da tappeto a tutto il disco, che grazie a queste influenze risulta non solo estremamente originale, ma anche realizzato con totale disinvoltura.

When You Walk a Long Distance You Are Tired prende degli elementi semplici (come il titolo stesso, tratto da un libro di scuola elementare) e li reinterpreta in una sintesi che identificare con il nome di un genere risulta difficile, ma che per una band al primo disco significa aver già acquisito un’impronta caratteristica ed esclusiva. Peccato solo aver lasciato fuori dal disco quella bomba che è No Crying in Baseball.

Tracce consigliate: It Hurts Until It Doesn’t, Hold Your Own Hand