È da qualche anno a questa parte che Morrissey fa parlare di sé più per le sue uscite – che definire infelici è fargli un favore – che per la sua musica. Nel 2014 usciva World Peace Is None of Your Business, un album che ha avuto una risonanza sicuramente minore delle cancellazioni dei tour per motivi discutibili  (“faceva freddo” la scusa più recente), di un romanzo brutto brutto in modo assurdo (List of the Lost), delle sgommate contromano in centro a Roma e delle invettive contro la polizia italiana (ottima scusa per cancellare un altro tour), delle opinioni controverse sulla Brexit e sugli attacchi di Manchester che ben si sposano con l’affiliazione al partito nazionalista britannico (BNP), e infine dei commenti sgradevoli rilasciati sul caso Weinstein/Spacey; visti i presupposti, il nuovo album Low in High School non si è fatto un’ottima pubblicità. E qui potremmo aprire il dibattito inflazionato sul “separare l’artista dalla persona” che ci farebbe sentire tutti meglio se stessimo parlando di un’opera dal valore incontestabile, ma è meglio chiuderlo in partenza, perché non ne vale la pena: Morrissey fa parlare di sé più per le sue uscite che per la sua musica – e forse è meglio così.

Nel caso di Morrissey è davvero impossibile separare il prodotto dal produttore, semplicemente perché Low in High School non è altro che un libretto d’istruzioni per comprendere lo Steven Patrick Morrissey più recente: un album vecchio così come il suo autore, distante sia dalla tanto paventata interpretazione critica della società che dai giovani a cui si rivolge con tono saccente e pontificante, ma distante anche da quel che sta accadendo nel panorama musicale attuale e dai punti forti della carriera dello stesso Morrissey. Il singolo di lancio Spent the Day in Bed sarebbe anche canticchiabile se non ci intimasse di smettere di guardare il telegiornale (*wow, much advice, such wise*) per poi dire in modo semi-poetico “in sheets for which I paid / I am now laid”, che in parole spicciole si traduce in “maledetti immicrati, vogliono venire qui a rubbarci pure le lenzuola”. Più o meno l’80% dei testi di Low in High School si riassume con un grosso “SVEGLIAAA!!!11” non richiesto, ma purtroppo l’album non c’è nemmeno dal punto di vista prettamente musicale: l’ego smisurato dell’artista si riflette in una produzione che – ancora più che nelle due opere precedenti – strafà, risultando eccessivamente pomposa e iperprodotta. I tre brani d’apertura sono esemplificativi a riguardo: nella produzione e nell’apparato strumentale c’è un manierismo che suona datato forse perché rimane, per tutto l’album, fine a se stesso, il prodotto di bravi musicisti pagati per registrare un disco di Morrissey, che sì, sanno tirarti fuori un giro di chitarra molto classico e perfino un assolo (My Love, I’d Do Anything for You) così come un tango (The Girl from Tel-Aviv Who Wouldn’t Kneel), ma non sono altro che lo specchio di una produzione che si arricchisce di fiati, cori e virtuosismi ma che rimane sterile come nell’inno anti-Brexit Jacky’s Only Happy When She’s Up on the Stage. Non a caso, i brani vagamente più minimali risultano essere anche quelli meglio riusciti, ancor di più quando l’ego di Morrissey si sgonfia di poco e rinuncia alla propaganda spicciola (Home Is a Question Mark) o quando i toni si alleggeriscono di poco (All the Young People Must Fall in Love). Interessante è anche la sperimentazione di I Bury the Living, sebbene il testo lasci a desiderare…

L’arco di Morrissey è ormai in discesa, e ammetterlo non significa fare revisionismo: agli Smiths vorremo sempre bene, e certo, anche The Queen Is Dead era un disco estremamente politico, ma era di un politico giovane e sprezzante, un inno di protesta anarchico e perfettamente al passo coi suoi tempi, se non ancora attuale; Low in High School, d’altro canto, con la sua pomposità e la sua vastità di temi toccati solo superficialmente, somiglia più ai discorsi di quei parenti lontani che vedi una volta all’anno ma che ci tengono a spiegarti come funziona il mondo e come dovresti campare. Che poi alla fine ti dispiace perché gli vuoi bene, ma non era necessario. Come non era necessario questo disco.

Traccia consigliata: I Bury the Living