metzEtichetta: Sub Pop
Anno: 2015

Simile a:
Coachwhips – Bangers vs Fuckers
The Blind Shake –  Breakfast of Failures
Wand – Golem

Se dico Canada la prima immagine che mi viene in mente è quella di una montagna di pancakes fumanti ricoperti di sciroppo d’acero, la seconda immagine è quella dei METZ ricoperti di sciroppo d’acero.
I METZ sono una band da Toronto che ha finalmente deciso di tornare sulla scena dopo aver a lungo fatto penare i fan: in seguito ai svariati EP contenenti solo due tracce e l’ultimo album omonimo risalente al lontano 2012, dopo tre anni d’attesa sono tornati con il loro secondo album II (titolo semplice, diretto, originale direi).
Che sia dovuto ad un allineamento planetario propizio? O che sia dovuto ai sacrifici di vergini fatti dai fan bramosi di avere qualcosa di nuovo da ascoltare? Non si saprà mai, ma i risultati si sono sicuramente fatti desiderare, le motivazioni per tanta attesa vanno trovate nella dichiarazione del frontman del gruppo che ad un’intervista ha ammesso “I look at it like this: You start a band, just as something to do, because music’s what makes you tick, the thing you dream about and think about and that’s it. You never think that you’ll be able to do it all the time. But then, for some inexplicable reason, people actually listen and latch on and the band begins to take on new meaning. All of a sudden there are expectations and pressure, real or imagined, to change who you are. It was important to us, when making this record, not to give in to that pressure.”10629657_10152697018239910_3233404091564456427_n
In questo santa sanctorum, dove apparentemente regnano pace e serenità (e con buone probabilità fanno incontri di reiki) questi tre Clark Kent in incognito hanno staccato la spina dalle pressioni e si sono trasformati nelle bestie sfascia-strumenti che sono, dando vita al loro tormentato secondogenito e -udite udite- è un album di ben dieci tracce (Deo gratias!).

A Chris Slorach al basso il compito di aprire le danze e dopo una breve interruzione ecco che Acetate suscita l’effetto di un potentissimo pugno in piena faccia, giusto sul naso. Il basso ostinato, le percussioni pesanti, la chitarra tagliente e poi le grida di Alex Edkins che dopo ogni piccolo istante di pausa ti trascinano nuovamente nel ring.
Che i METZ non facessero musica per deboli di cuore si sapeva, ma la prima traccia picchia più duro di Tyson e la seconda non è da meno. Ancora alle corde e sotto shock per l’inizio intenso, ed ecco che i primi suoni stridenti sono pronti ad attaccare, il ticchettio di una bomba a velocità triplicata pronta ad esplodere, fa appena in tempo a partire la chitarra ed ecco l’impatto: The Swimmer è un’esplosione violenta nella quale chitarra, basso e batteria più che strumenti sono armi potentissime, protagoniste di un disegno distruttivo dal sapore grunge e punk allo stesso tempo.
Una mitragliata viene sferrata ad opera del batterista Hayden Menzies che apre Spit You Out, la traccia più lunga dell’intero album: minuti preziosi e ben pesati, che lasciano trasparire, più di altre tracce, la vena più marcatamente umana di questo lavoro. C’è odio e c’è disprezzo in questo brano, quasi che il cantante con la sua voce rabbiosa stesse cercando di assaltare qualcosa che è dentro di sé “Keep looking, Keep looking for a broken grace. It seems like you’re always there, alone. You never made a dent. You should’ve been committed. Your time came and went. Time to spit it out! Spit you out!”, “Spit you out” ripetuto ad nauseam sembra il tentativo d’esorcizzazione di un amore finito del quale si vogliono strappare i resti dal proprio corpo a pugnalate, un compito che viene assolto egregiamente dalla micidiale combo di batteria e chitarra, compagne nel crimine.
Zzyzx è il venticello che annuncia l’uragano: I.O.U (“I owe you”) è la riconferma della svolta più “sensibile” presa dalla band, ogni emozione ruvida è filtrata attraverso dalle penne più attente dei tre canadesi, in grado con rapidi graffi di rendere immagini distorte: “Rotting through the floor. It never ends. Don’t want to swallow your crooked lies. I aint’ got time to pretend. Painkiller, Painkiller. Why I’m feeling real?”, è collera tenuta al guinzaglio da un’estetica ben definita e carica di rabbia.
Un Nervous System sull’orlo della follia, alienato dai ritmi quotidiani che trasportano pensieri nei quali fotografie di distruzione di massa si susseguono indistintamente ad immagini di noiosa routine in Wait in Line: “I’m waiting for the atom bomb, I’m waiting for a happy song to sing, I’m waiting for the sky to fall, I’m waiting in the shopping mall with you”; si è tramortiti, lasciati convalescenti, dal trio strumentale prepotentemente grunge, post punk a tratti hard-core.
Kicking a Can of Worms, la traccia finale, è un vortice che ti trascina lentamente verso il fondo: l’apertura in sordina viene subito scaraventata via da un attacco violento, susseguito da poche note al basso che si ripetono in continuazione provocando l’effetto di una lenta ipnosi, veleno che entra lentamente in circolo lasciandoti convalescente.

Sono dieci tracce che sono in grado di metterti in contatto con un lato oscuro e profondamente arrabbiato di te stesso, e questo di per sé non sarebbe difficile, ciò in cui i METZ riescono è fartelo piacere e volerti far alzare il volume in continuazione, in una sorta di “Programma di controllo della rabbia in 10 passi” con l’effetto opposto.
And the eighth and final rule: if this is your first time at Fight Club, you have to fight.”, il decalogo di regole utilizzate in Fight Club si potrebbe utilizzare per gli avventurosi che decideranno di andare ad un concerto dei METZ, fatta eccezione che non c’è nessuna “terza” regola e quando la calca inizierà alle prime note di Acetate non si potrà fare niente per fermarla, quindi per la data italiana di questi canadesi sarà il caso di abbandonare il proprio materialismo ed essere pronti a dire addio ad un paio di costole.

Tracce consigliate: Spit You Out, The Swimmer