Fra Mew e Built to Spill quest’anno mi sono trovato invischiato a scrivere di gruppi di grande qualità ma riscontri di pubblico sempre purtroppo sotto il loro reale valore. Così anche per i Metric, band canadese ormai veterana della scena e tra le fonti principali per il personale che va a comporre l’apprezzatissimo supergruppo (molto più famoso delle parti che lo compongono) Broken Social Scene.
Pagans in Vegas, titolo e cover bellissimi, è il sesto album di una carriera che fin dagli esordi ha concesso davvero poco a passi falsi e noia.

C’è da segnalare intanto una bella virata elettronica che, se di sicuro non trasforma la band in un gruppo cover di LCD Soundsystem, fa passare il messaggio di qualcosa di nuovo in casa Metric. A volte forse scappa la mano e i puntillismi chiptune di The Shade si fanno insistenti e finisce quasi per richiamare alla memoria quel genere (esisteva?) semidimenticato che passava sotto il nome di indietronica.
Sempre al centro ovviamente la prestazione di Emily Haines, che ad altri propositi ho già elogiato in passato. La nostra invecchia benissimo e non solo musicalmente; ora la sentiamo forse meno esuberante che in passato, meno squillante e meno dominante sulle tracce ma non meno incisiva e di sicuro non ha perso il timbro caratteristico. Canta lontana e robotica in Cascades – cinque minuti di elettronica con momenti che ricordano quasi i Daft Punk di RAM – o anabolica sulla serrata Lie Lie Lie, messa in apertura forse per non spaventare troppo i fan reduci dal rock carico di Synthetica, loro penultima fatica con ottimi brani come Breathing Underwater e Nothing But Time che si situavano davvero agli antipodi di quanto si ascolta su Pagans
Too Bad, Too Sad è un singolo eccezionale e rappresenta una delle intuizioni più limpide dell’intero ascolto: un synth pop ritmato e diretto da batteria e voce arricchito da rasoiate di sintetizzatori e tastiere.
Sul versante più tradizionale poi troviamo insieme alla già citata Lie Lie Lie, l’ottimo mid-tempo Fortunes che alterna impeccabilmente nuovo corso e vecchio, rock e forte presenza vocale con ottimi innesti elettronici in un insieme di rara furbizia tanto che il ritornello è lì apposta per entrare da un orecchio e non uscire più. E perché dimenticare The Governess, un riuscito ulteriore rallentamento alle ritmiche, brano che in versione acustica sentirei suonare alla perfezione nel mai abbastanza celebrato exploit album da solista della Haines.
Chiudono l’album due strumentali, The Face pt. 1 e 2; di carattere spudorato e purissimamente new wave la prima tanto quanto minimale e d’ambiente la seconda.

Nel cambio – che comunque non è niente di davvero sconvolgente; i quattro non sono mai stati chiusi al flirt con l’elettronica – s’è perso forse un po’ del tiro che faceva davvero punto di forza per il gruppo. Quando questa carica riesce ad affiorare e a fondersi con quello che i Metric ci propongono, il risultato è ottimo. In tutti gli altri casi si tratta comunque di una musicalità di buonissima fattura alla quale manca solo – almeno in studio – la spinta verso l’alto. Pagans in Vegas è un gradito ritorno per tutti; averne, di band come i Metric

Tracce consigliate: Lie Lie Lie, Too Bad, Too Sad