Gli abruzzesi Management Del Dolore Post-Operatorio tornano quest’anno, dopo aver fatto un discreto botto con Auff! nel 2011 e tentato il bis nel 2014 con McMAO. In mezzo ci son stati un paio di cambi di formazione, grandi tour in giro per l’Italia, una comparsata rivedibile da ignudi al concertone del primo maggio a Roma impugnando un preservativo – praticamente un incubo. Musicalmente il precedente McMAO virava un po’ verso l’elettropop, con una piccola evoluzione nel suono – certo, nell’anno in cui anche Cesare Cremonini s’era accorto dell’elettropop con Logico. Con I Love You si torna indietro e i piccoli riferimenti elettronici che anche apparivano in alcuni pezzi di Auff! si diradano, il suono torna più rock (glom), dimenticando abbastanza le tendenze post-punk che li accompagnavano gli anni scorsi.

Una cosa buona è la produzione di Giulio Ragno Favero, forse dovuta al passaggio di etichetta sotto La Tempesta Dischi, che insomma è un buon miglioramento.

Il disco inizia con gentilezza, passato il primo minuto di testo un po’ stereotipato in Se ti sfigurassero con l’acido. Poi però inizia Scimmie, che è abbastanza imbarazzante, sempre nello stile Madedopo nella sua programmaticità (portare Imagine di John Lennon nel 2015) e con una importanza sempre maggiore alla voce nel missaggio o comunque dalle musiche risibili; magari non sarebbe un problema (MAGARI eh) se non fosse che il testo, nonostante degli spunti interessanti, è banale e già sentito. Oh, bello invece il testo di Scrivere un curriculum, no? Ecco, infatti è della Szymborska. Menomale che dopo c’è La patria è dove si sta bene che rimette le cose a posto con la metafora del girasole che non segue il sole (quanta ribellione) che aiuto. Hey, ma aspetta, Il mio giovane e libero amore suona bene; certo, non mi sembra una novità assoluta però dai, ha senso. Ecco, è uno scritto anarchico del 1921.

Per il resto ho una buona e una cattiva notizia per i Madedopo: hanno creato una personalità, uno stile anche musicale che è loro e riconoscibile, e questa è la buona; la cattiva è che questa stessa personalità irriverente e con i richiamini al cantautorato storico («e chi vivrà vedrà eh eh eh») è già usurata dal primo disco, che nonostante sparasse tendenze autolesioniste invece si è preservata, copia morta brutta di sé stessa. Sembra appunto che i Madedopo sappiano cosa fare con la propria musica. Hanno un genere, hanno un pubblico, ed è così facile fare un po’ di casino/pseudoscandalo/successo che tutto ciò suona disonesto, oltre che brutto e dimenticabile. I Madedopo hanno trovato la loro nicchia di pubblico che li ascolterà sempre, fatto di un certo tipo di “alternativi” (brr) e la pasturano con cibo scadente, la ingrassano e se la cantano e se la ballano. I testi poi seguono più o meno lo stesso canovaccio: il mondo moderno, un amore libero e insieme malato, stare bene o stare male. Ciò funzionerebbe pure magari, se solo fosse accompagnato decentemente; [SPOILER] questo non succede [/SPOILER]. Sentite le canzoni e pensate davvero che piaceranno da matti a qualcuno e avrete capito a chi è indirizzato questo disco. In questo senso Le storie che finiscono male è intellettualmente deprimente nel mettere in mezzo questo maledettismo e boh, più o meno tutto: suicidi, licenziamenti, amori incasinati, noi che siamo esseri umani, polizia che picchia, malasanità, preti pedofili – non in quest’ordine. Non sono più innovativi, divertenti, ma quel che è peggio sono terribilmente innocui. Anche le tracce che suonerebbero bene musicalmente sono appesantite dal fantasma del prodotto: non si riesce a pensare a questo disco senza il suo target chiaro, palese.

Il paradosso ultimo è che la traccia migliore è Lasciateci divertire, che però è messa alla fine e non riesce a dare una visione programmatica a tutto il disco; sembra invece scusarsi. Per larghi tratti i Madedopo, certo pur con un santonismo poco ortodosso, si prendono abbastanza sul serio; invece dopo 35 minuti predicano una spensieratezza che non si riesce a trovare davvero in questo I Love You, e che avrebbe aiutato a rendere più sopportabili questi 40 minuti di disco. Accettiamo le scuse perché siamo buoni, ma basta prenderci in giro.

Tracce consigliate: Lasciateci Divertire