Amo la musica e per questo ho fatto una fatica tremenda ad arrivare alla fine dell’ascolto del terzo disco de Lo Stato Sociale. Mi sono approcciato con orecchie vergini, non avendo mai ascoltato prima d’ora niente del loro repertorio discografico e nemmeno mi sono lasciato influenzare da quello che ho sentito dire e letto su di loro nel corso degli anni, perché ho sempre pensato sia giusto esprimere un’opinione solo su ciò che si conosce e non per sentito dire. Detto questo, è difficile trovare qualcosa di buono in Amore, Lavoro E Altri Miti Da Sfatare e, allo stesso modo, è difficile non provare fastidi vari per tutta la durata dell’album.

Fastidio che si palesa già a partire dalla prima Sessanta Milioni Di Partiti, che parte con tastiere che sembrano rubate a caso dai Dari e che subito mi mandano in confusione perché credevo fosse cantata da Vasco Brondi, non solo perché la voce è uguale, ma anche perché sembra il classico testo a caso in perfetto stile Brondi. Scoprire che al mondo non c’è un solo Vasco Brondi, ma anche qualcun altro che gli assomiglia, è destabilizzante.
A Lo Stato Sociale va però riconosciuto di essere onesti, perché in questo primo pezzo, tra le tante cose a caso, dicono anche qualcosa di sensato: “Questo paese ha bisogno di silenzio e io di certo non lo sto aiutando. Questo paese ha bisogno di silenzio, solo dopo la musica avrà di nuovo un senso. Il resto è inferno a fuoco lento“. Ed è vero: dopo un inizio del genere è davvero un inferno perché la traccia successiva (Amarsi Male) mi ha fatto venire voglia di venerare Satana dopo pochi secondi. “Ti va se dopo la partita facciamo l’amore o quando ho un po’ di tempo cuciniamo una torta e la mangiamo da nudi. Ma solo se ti va.

La successiva Quasi Liberi, è una cascata di chitarre accompagnate da una serie di “Uh uh” agghiaccianti che aprono l’ennesima canzone dove, tra un mucchio di frasi a caso, la più azzeccata è: “Fidati di chi non si vergogna di cantare come gli viene.” Eh sì, se c’è qualcosa che non conoscono è proprio la vergogna. La musica tutto sommato non sarebbe neanche male se non ci fosse una voce fastidiosissima e un testo che sembra scritto da Fabio Volo (non metto la mano sul fuoco, ma potrebbe esserci davvero lui tra gli autori): “Fidati delle cose chiare, non delle cose ovvie di quelle luminose, non di quelle illuminate, di chi capisce poco e non ha visto tutto. Scoprire è meglio che capire, capire è meglio che spiegare e alla fine è meglio essere liberi che furbi, meglio essere sprovveduti che intelligenti e alla fine è meglio essere vivi che vissuti, meglio essere sbagliati che incompiuti“. L’errore forse è cercare di trovare un senso in quello che sto ascoltando, quindi dopo una massiccia dose di insulina, vado avanti.

Buona Sfortuna, brano accompagnato da un video agghiacciante, parla di un amore tradito ed è sostanzialmente composto da una serie di auguri alla sua ex (“Spero che ti possa tagliare con un foglio mentre firmi per la casa nuova e che la penna si rompa e ti sporchi il vestito che ti toglie un altro ogni sera”) dove scopriamo che comunque il nostro eroe quando stava assieme a lei era uno che si dava da fare (“Passavo più tempo con le mani perse là sotto piuttosto che attaccate al volante di un’auto nera”), ma nonostante questo adesso gli brucia il fatto che lei possa fornicare con qualcun altro (“Vorrei non ti facessero mai male le gambe quando torni dal lavoro, ma avessi una fitta al ginocchio mentre ti pieghi per fare l’amore”). Buona sfortuna… Come te non c’è nessuna… E per fortuna.

Se c’è una cosa che ho imparato nella vita, è che il tempo è prezioso, e una volta perso non potremmo più averlo indietro. L’ho sprecato in tanti modi, ma questo a memoria è sicuramente uno dei peggiori. Confucio diceva “La forza può costringere la gente ad obbedire; ma non può costringerla a comprendere.” Quindi sì, porterò a termine questa ascolto perché è il mio lavoro, ma non chiedetemi di capire quello che sto ascoltando perché trovarci un senso è impossibile.  Mai avrei pensato di trovarmi a fare l’analisi dei testi di un disco del genere: l’unica nota positiva è che Lo Stato Sociale mi sta almeno davvero facendo rivalutare molta musica italiana.

Eri Più Bella Come Ipotesi sembra parlare di una meretrice anche se e è difficile capirci qualcosa (“E adesso cosa resta della nostra età se togli la ribalta la radio la musica la fama e la voglia di scrivere da capo una storia irrisolta me lo chiedi siamo dentro a un bar e sei davvero stanca hai perso gli occhi in una banca e hai un contratto nuovo come protesi e non chiedevi altro alla vita che ascelle sudate con i polsi tremanti e ginocchia sporche una luce negli occhi).
Sarebbe anche interessante cercare di esprimere un giudizio sulla musica ma, credetemi, tutto passa in secondo piano di fronte a testi che in confronto Bello Figo Gu e Rovazzi sembrano Bob Dylan e David Bowie.
Vi sembra un’esagerazione? Niente Di Speciale ne è la conferma: (“Ti ho sognato in un ufficio FS, cantavi in francese allo sportello reclami, ti prendevano in giro tutti i miei amici travestiti da ballerine e da nani. Di che cosa hai paura davvero?). Ancora una canzone rivolta alla lei di turno che ascoltandola sarà sicuramente contenta di avere mollato sto povero Cristo per il primo camionista bulgaro incontrato per strada, nonostante lui le dica bellamente “Hey, non sai cosa ti stai perdendo!“.
Qua ci troviamo di fronte, per la prima volta, a quello che possiamo considerare un vero e proprio furto nei confronti della proprietà intellettuale di Luigi Marzullo, che l’autore sperava non si notasse buttandoci in mezzo prima due righe a caso a sfondo sociale (“Sai che è facile odiare il terremoto il difficile è costruire”). Ma come poteva pensare che ci potesse sfuggire questo passaggio? Noi ci limitiamo a segnalare la cosa, sperando che il buon Gigi si faccia valere nelle sedi opportune.

“Non è sognare che aiuta a vivere, è vivere che deve aiutarti a sognare.”

Mai Stati Meglio musicalmente suona come i migliori Lcd Soundsystem (ma sì, dai, prendiamoci pure per il culo), sarà sicuramente uno di quei pezzi che dal vivo causeranno riots e poghi allucinanti ai loro concerti, anche grazie a un testo punk che, sostanzialmente, è un grido contro chi ci giudica e ci dice come vivere la nostra vita. In questo brano viene fuori l’aspetto più ribelle e insolente del gruppo elettro-pop bolognese, quello che sicuramente hanno mantenuto da quando hanno iniziato a suonare davanti a non più di 50 persone e che, continuano ad avere, nonostante abbiano svoltato. Pur essendo il primo loro album che ascolto, dall’attitudine che ho percepito immagino che non intitoleranno mai un disco “Non siamo più quelli de i Turisti Della Democrazia“, perché – fuck yeah! – ci metto la mano sul fuoco che loro sono proprio rimasti quelli di sempre.

Nasci Rockstar, Muori Giudice Ad Un Talent Show punta il dito contro tutti i duri e puri della scena musicale: loro possono permettersi di farlo perché #TheyDidItTheIronWay, e questo brano dal ritmo travolgente non è altro che un middle finger in the air! Per Quanto Saremo Lontani (mai troppo, n.d.r.) è il brano che Giulio Rapetti avrebbe sempre voluto scrivere (“Ho ancora voglia di bruciare il cielo e farti la guerra, gettarti in mare, spaccarti la faccia e curarti ancora”) un mix tra il sound dei Kings Of Convenience e le atmosfere più algide e spensierate dei Belle and Sebastian, una vera e propria masterclass del pop perfetto che strizza l’occhio al mondo indie. Vorrei Essere Una Canzone conclude il disco, a questo punto vi basti sapere che è l’ennesimo insieme di banalità: fidatevi perché ho esaurito le forze sia fisiche che mentali per continuare l’analisi dei loro testi.

Alla fine dell’ascolto di questo disco, mi sento di dover ringraziare Alberto Francesco Lodovico Alberto Enrico perché, come dicevo inizialmente, grazie a loro ho rivalutato diverse cose, tra le quali: Il male di vivere, Kekko dei Modà, Alessandra Amoroso, Antonio ZequilaOrlando Portento e i video delle ricette americane che rivisitano piatti italiani su Facebook. Fresco dell’ascolto di un solo disco, penso comunque di poter dire che una collocazione nel mondo ce l’ha anche Lo Stato Sociale: è musica adatta a un qualunque film di prossima uscita di uno dei fratelli Muccino o di Fabio Volo, ma al tempo stesso la colonna sonora per tutti quei giovani anticonformisti vogliosi di gridare al cielo i propri sogni e ideali, sotto la pioggia mentre fuori piove per dimostrare che loro sono alternativi e meritano la vita più di altri (non vuol dire un cazzo, ma ascoltate voi un disco intero de Lo Stato Sociale senza finire con l’esprimervi come dei lobotomizzati.)
In sintesi, Amore, Lavoro E Altri Miti Da Sfatare è il nulla mischiato al niente, e proprio per questo non c’è da stupirsi se avrà successo di questi tempi.

Prova a considerare una bizarra emozione, fatti fottere poi fammi una recensione“.

È proprio quello che ho fatto, prima di scrivere questa recensione ho guardato Ed Sheeran da Fazio, che fantaaaaastica storia è la vita.

Tracce consigliate: nessuna