Nella Detroit dell’Underground Resistance il volto del dj era volutamente nascosto, e l’identità dello stesso spesso celata. Allo stesso modo erano rifiutate le strategie di marketing delle major discografiche e l’unica valida etica perseguibile nel campo della produzione e della distribuzione del prodotto musicale era il motto Do it yourself.  Il prodotto musicale era così attento alle realtà sociali, politiche ed economiche di un’America ancora lontana dal sogno americano. E l’estetica della performance artistica era di rimbalzo un fattore eludibile, non questo infatti importava. Presto però, in seguito alla colonizzazione bianca operata questa volta tra i confini artistici, la carboneria futurista e le Black Panthers della scena musicale persero terreno nella lotta impari combattuta contro un nemico che operava un’inversione di tendenza soprattutto culturale. Il risultato immediato di ciò fu un dj che vestì presto i panni della pop star.

L’adolescenza di molti di noi è infatti indelebilmente segnata dallo stereotipo Richie Hawtin nella sua espressione più funambolica. Questo muta nel tempo i tratti o il nome, senza mai tuttavia compromettere la forma e la sostanza: una grossa e idolatrata macchina sputa soldi. L’eccezione che conferma la regola si chiama Levon Vincent. Nella vita, come anche dal vivo, è un’ombra. Brancola nel buio senza mai essere scomposto. Indiscusso tecnico del suono, Levon Vincent, è parte della sua musica, ne è padrone. Come è dominatore di chi ascolta, di chi è parte del suo pubblico, mitigandone l’euforia, gestendone le sensazioni ma mai incrociandone lo sguardo. Protettore del messaggio originario e incontaminato del genere techno ampiamente inteso, Levon Vincent, non soltanto scansa le major discografiche mettendo su la Novel Sound ma, compatibilmente con le sue possibilità, si presta ad essere anche patrocinatore e sostenitore di talenti ancora acerbi. Perché fattosi da solo, proprio come gli esponenti dell’UR, il produttore newyorkese si è sporcato e continua a sporcarsi le mani, al di sotto della superficie visibile e nei silenzi sotterranei. Una gavetta, la sua, lunga numerosi dodici pollici, e che si compie nel momento più alto di un LP che suona come una summa della produzione musicale.

L’eponimo album di debutto (in free download sulla pagina Facebook ufficiale dell’artista nelle ventiquattro ore precedenti alla release ufficiale) non poteva che essere tale, non poteva cioè essere altro se non Levon Vincent: il suo chiaro riflesso, la sua persona. Niente d’altro. L’album va inteso come un concept, tutto tenuto assieme dalle numerose influenze che accarezzano la persona di Levon, ma anche come una sorta di linea temporale sulla quale rigorosamente tali contaminazioni sono disposte. Per cui l’opener The Beginning si può per esempio ricondurre al periodo new wave/synthpop, ai New Order o a Gary Numan. Phantom Power, lascia invece inacidire il synth e recide la già timida bassline. Inevitabilmente si è perciò mossi in direzione di un suono arido e dalla forza titanica espressa dal monolitico kick di Junkies On Hermann Strasse. Se per un attimo, dunque, si può credere di essere dinanzi al primo Levon, subito si è contraddetti. Launch Ramp To The Sky suona infatti come una suite musicale. L’idiofono a percussione diretta assieme all’hi hat definiscono un groove house contagioso ma vulnerabile, tanto da essere presto spezzato dalle convulse armonie corali e dal sibilo ronzante del synth. La sperimentazione accordata all’incontro intimo col proprio animo è quindi la cornice dell’intero lavoro. Se For Mona, My Beloved Cat / Rest In Peace è di ciò l’esempio lampante, Her Light Goes Through Everything è invece il risultato melodico impeccabile. Black Arm W / Wolf  è però il culmine del climax ascendente, del tamburo e della bassline sullo sfondo. Il sample vocale kitsch in Confetti è infatti la chiave che apre il club, il quale è magistralmente rappresentato dal triumvirato Anti-Corporate Music, Small Whole-Numbered Ratios e Woman Is An Angel. Il carattere techno dub in queste pugnala ripetutamente, e il registro è esasperato a tal punto da paralizzare i muscoli. Ma si è nel mezzo del locale e sono le quattro del mattino.

Levon Vincent è di scorza dura. E proprio per questo rischia di risultare poco comunicativo ai primi ascolti. Lo stesso può dirsi di Levon Vincent, quale persona schiva e refrattaria ai riflettori. Entrambi possono apparire lontani o indecifrabili, ma sotto la superficie grezza si nasconde un suono profondo e perfettamente accordato da una persona a tutto tondo. Levon Vincent è la “musica per i brutti anatroccoli. La musica per i cigni. Se sei invece un ratto, che sale su un cassonetto ed entra in lizza con gli altri topi per il potere, potrai naturalmente ascoltarla ma sappi che questa non è musica per te. Questa è l’azione contro di te”.

Tracce consigliate: Launch Ramp To The Sky, Woman Is An Angel.