Lo aspettavamo? Fino a ‘na certa. È successo lo stesso? Ovvio. Quanto faceva schifo Costellazioni? Un sacco. Si è venduto perché ha scritto un pezzo con Jovanotti? No no, pace, ha fatto bene. Però il disco nuovo di Vasco Brondi, aka Le Luci Della Centrale Elettrica, che si chiama Terra è uscito lo stesso e ignorarlo sarebbe ignorare un elefante nella stanza, e quasi fargliela apposta.

L’ascolto di un nuovo disco delle Luci nel 2017 è al tempo stesso un esercizio di critica e una pura e semi innocente curiosità. Fortunatamente Brondi ci viene incontro, perché la dozzinalità del rullo di tamburi alla fine di A forma di fulmine costringe a continuare ad ascoltare tutto per capire dove stia andando a parare. Le conclusioni sono molteplici.

Strumentalmente c’è un’ulteriore svolta nel suono delle Luci. Ad esempio Qui – ma anche Coprifuoco oppure Iperconnessi col suo giro vagamente Beckiano (gli piacerebbe, certo) – potrebbe vincere un Sanremo in un universo parallelo in cui i cantanti di Sanremo che conosciamo sono morti (tutti) in un incidente stradale (su un pullman) e quindi nessuno si chiederebbe che ci fa Vasco Brondi al festivàl, una sorta di Van De Sfroos dopo i barbiturici. Il nucleo pulsante dell’opera delle Luci però, e anche quello che si è preso più attenzioni critiche, è quello delle liriche, dei testi. Non preoccupatevi: l’aleatorietà dei versi di Brondi è rimasta, ma si è evoluta ed ibridata; da una parte è un bene perché davvero non se ne poteva più, dall’altra significa che si è andati in un’altra direzione. Ve lo dico subito, via il dente, via il dolore: è quella politica. Quando Brondi va verso il politico forse fa peggio di quando appaia delle parole evocative, quindi vi lascio qualcosa qua e traete le vostre conclusioni: “Cadeva la sera su una bella e malandata europa multiculturale / su un altro bar che cambia gestione”, “il giorno degli attentati hai scritto per tranquillizzare tutti / che come sempre eri da quelle parti ma non eri tra i feriti o tra i morti”, “gli scafisti si orientano con le stelle / le nostre storie sono troppo belle”, “iperconnessi in disaccordo con tutti”, “cantami o diva l’ira della rete / imprevedibile come le onde / cantami o diva dello sciame digitale / l’ironia sta diventando una piaga sociale”. Si può dire che il cantautorato delle Luci, il primo soprattutto, avesse un’urgenza tangibile vagamente punk e non si può nascondere una sua influenza su tutto il neo-cantautorato indie che è sopravvissuto fino ad oggi. Molti dei suoi epigoni e compari si sono persi per strada o nella propria nicchia, invece Le Luci Della Centrale Elettrica sono rimaste accese sul suo grande, quasi unico interlocutore: quel “tu” di tutti i brani che è la tipa che si fa le foto di spalle senza reggiseno di fronte ad un paesaggio acquatico e le mette su Facebook con a fianco la citazione di De André. Nei momenti peggiori queste tendenze strumentali e liriche si fondono e danno alla luce pezzi come Chakra. Altro punto dolente: la svolta etnica di Terra esiste ma non ha alcun apporto stilistico espressivo.

La produzione non è male – quando si nasconde e non prova a strafare con gli effetti, i delay o i filtri sulla voce o sui loop – così come alcune idee armoniche, come nella stessa Coprifuoco; ma cozza contro quello che è sempre stato il cuore di tutto il mix e del progetto stesso: la voce e i testi di Brondi. Che sono il contrario di profondi. Come si dice? Piatti. Brondi ha perso credibilità nei suoi dischi precedenti e ignora volutamente che il mondo musicale è andato avanti anche senza di lui. Gliene faccio una colpa, perché è consapevole che questo disco sarà cantato e gli farà fare comunque i sold out quando canta senza vergogna “possiamo crescere ma ricordare per sempre la tua piccola cicatrice a forma di fulmine”, che è un occhiolino a un certo immaginario così sfacciato da farmi fisicamente male alla parte del cervello che prova l’imbarazzo.

Nel finale Stelle marine, Moscerini e Viaggi disorganizzati recuperano un po’ di sostanza e si piazzano a metà tra una nuova via più pop (sfacciatamente, certo, ma non è per forza un male) e i richiami ai classici come i CCCP e l’onnipresente brondiano Rino Gaetano. Speriamo vivamente che questa via più larga ai cuori dellaggente persista nel tempo futuro delle Luci, e che finalmente si decidano a prendere una via che sia quella che le porteranno davvero alle radio (lo fanno i Thegiornalisti, ce la fai anche tu Vasco) o che sia il loro raccoglimento intimo. Oppure no eh, fai pure quello che vuoi Vasco Brondi, però non ti aspettare di essere preso sul serio dopo 10 anni che usi la stessa formula svendendola di disco in disco.

Tracce consigliate: Stelle marine