Le sbroccate su Twitter, il matrimonio con Kim Kardashian, la figlia North, la moda, i (presunti) debiti, la megalomania, lo show al Madison Square Garden. Le news fioccavano, le analisi del personaggio e di ogni sua minima mossa si sprecavano, e così anche noi abbiamo cercato di capirne l’evoluzione. In tutto questo trambusto, però, la musica stava rischiando di diventare uno dei tanti elementi che gravitano attorno a Kanye West, perdendo il ruolo di protagonista. Dopo mille e più vicissitudini (il cambio continuo del titolo, della tracklist, del master, della copertina), dopo un hype che rischiava di implodere, la settima creatura di mr. West, The Life Of Pablo, è qui. Dopo che Kanye stesso l’ha annunciato come l’album della vita, dopo aver visto la lista di ospiti presenti nel disco, dire che le aspettative erano alte è di certo un eufemismo. Abbiamo però cercato di accantonare per un attimo le sparate memorabili, l’ingombrante narcisismo, di distinguere tra il Kanye artista e il Kanye persona(ggio), per focalizzarci totalmente sulla sua musica, su questo disco.

TLOP è un disco che vive di momenti diversi e diverse atmosfere. È chiaro già dal primo ascolto che non siamo di fronte ad una produzione compatta come era quella del precedente Yeezus, né all’orchestralità che rende My Dark Beautiful Twisted Fantasy il capolavoro che è, né alla sottovalutata rivoluzione di 808s & Heartbreak. TLOP è l’insieme di tutto il passato di un Kanye che va a scavare sino alle trame pop di The College Dropout. TLOP è dunque il manifesto della libertà espressiva di Kanye West, di un West che cerca disperatamente di abbattere i muri creati dal suo ego e di ritrovare se stesso nel luogo che più gli appartiene: lo studio. Che Pablo sia Picasso, Escobar o Paolo di Tarso (è quest’ultimo) poco importa, perché tanto sappiamo tutti benissimo che Pablo è Kanye in persona, o meglio, le sue tante anime artistiche.
Ad aprire il disco ci pensa la luce di Ultralight Beam, un fulmine a ciel sereno che colpisce senza preavviso, tra il campionamento di una bambina che prega, accordi ariosi di rhodes in reverse, cori gospel e la potenza canora di Kelly Price: “Oh, no longer am afraid of the night/Cause I, I look to the light”; nella seconda strofa un ottimo Chance The Rapper, tra citazioni bibliche e cinematografiche, ci ricorda che “You cannot mess with the light” mentre, in sottofondo, Donnie Trumpet crea un tappeto minimale e perfetto di tromba che si fonde sapientemente con il resto. L’atmosfera luminosa prosegue con la successiva Father Stretch My Hands Pt. 1 e il ritornello iniziale firmato da Kid Cudi: “Beautiful Mornin“, ma si dissolve nella Pt. 2, più oscura grazie anche al campione di Panda di Desiigner, da molti già associato a Future per stile e flow. Se nella Pt. 1 le strofe rasentano il ridicolo (“Now if I fuck this model/And she just bleached her asshole/And I get bleach on my T-shirt/I’mma feel like an asshole“) la situazione migliora nella Pt. 2, quando Kanye va a raccontare fatti personali legati al padre. Famous, Feedback, e Freestyle 4 sembrano tutte uscite da Yeezus: basi scarne e flow aggressivo, beat ossessivi; solo Rihanna, riprendendo Nina Simone, dona luce alla prima traccia con un featuring riuscitissimo. Nella prima metà compaiono anche Low Lights, una ballata al piano in stile spoken-word, e Highlights, che riprende i pochi accordi della precedente e lascia spazio a Young Thug per i ritornelli.
I Love Kanye è  un “pezzo” di 45 secondi, senza base, che rivisita in chiave ironica i tormentoni dei media rivolti a Kanye: tutte le frasi sono chiuse con “Kanye”, suggellando il tutto con l’emblematico “I love you like Kanye loves Kanye” con annessa risata finale. Potrebbe sembrare il non plus ultra del narcisismo, ma, in generale, a disturbare ancor di più sono l’infelice e tremenda rima su Taylor Swift in Famous e lo skit Silver Surfer Intermission (una telefonata dal carcere di Max B che dà l’investitura a Kanye per essere “wavy”) palesemente diretto a Wiz Khalifa. Altra punzecchiatura è il campione della voce di Future “If young Metro don’t trust I’m gon’ shoot you” (in FSMH Pt. 1) dalla nota traccia Jumpan di Drake e Future (i tre sembrano comunque in ottimi rapporti), il cui beat viene ripreso in Facts: un diss diretto alla Nike e, molto probabilmente, la traccia peggiore di sempre di Kanye (campione iniziale a parte). Facts è il momento più lampante in cui il personaggio deborda e invade il territorio del musicista, e questo non dovrebbe mai e poi mai accadere. Non ci interessa la moda, noi vogliamo la musica.
Per fortuna però nella seconda metà di TLOP la genialità di Kanye esplode in tutta la sua potenza, facendoci dimenticare gli infausti episodi sopra menzionati.
Waves (fortemente voluta in tracklist da Chance The Rapper, tanto da ritardare l’uscita già annunciata del disco) travolge completamente con la sua anima pop e un ritornello così bello da accettare il fatto che a cantarlo sia Chris Brown. ThankYouChance. FML è il suo contraltare: semplice e pacata, con un The Weeknd in perenne stato di grazia. Un pugno nello stomaco proprio come ogni play di Real Friends: probabilmente la prova migliore di West in qualità di rapper all’interno del disco, un Ty Dolla $ign impeccabile, un beat che fa sognare nella sua semplicità. Il poker si conclude con Wolves, altra perla ulteriormente impreziosita dai vocalizzi di Caroline Shaw e dall’outro di Frank Ocean (SIA e Vic Mensa non pervenuti, purtroppo), che coronano la dichiarazione d’amore di Kanye per la sua famiglia: “Cover Nori/Saint in lambs’ wool/We surrounded by the fuckin’ wolves”. Si rischia di ballare con l’ottima 30 Hours e quel campione di Arthur Russell, quel giro quasi funky, quella produzione volutamente sporca, e si balla senza dubbio sulla conclusiva Fade: un giro dance micidiale, con l’aiuto di Ty Dolla $ign e Post Malone ai vocoder, non prima di aver goduto nuovamente dell’incredibile No More Parties In LA, prodotta da Madlib e arricchita del featuring di Kendrick Lamar.

Inizialmente potrebbe sembrare che il disco sia sconclusionato, troppo vario, senza un filo logico, con le tracce che talvolta suonano incompiute. Abbiamo già detto, però, che Pablo è West in persona, e non poteva essere altrimenti: nei pezzi c’è emozione, fermento, spontaneità; è musica viva fatta per l’amore di creare. È il colmo per Kanye: la ricerca perenne e spasmodica della perfezione prende forma in un album pieno di imperfezioni, di rincorse contro il tempo, di ripensamenti. TLOP è il figlio illegittimo dapprima rifiutato e poi amato ancor più degli altri. Con gli ascolti è facile venire contagiati dalla naturalezza della musica, dalle canzoni, e tutto inizia a sembrare liscio come l’olio, i passaggi tra i pezzi suonano naturali (nonostante una tracklist rimaneggiata un’infinità di volte) e la facilità d’ascolto, apportata da un velo pop che copre magistralmente tutto il lavoro, invoglia a premere play all’infinito.
Kanye West è sembrato più volte fuori controllo, sul punto di sbroccare definitivamente da un momento all’altro; Kanye West non sarà il miglior rapper sulla Terra e TLOP non è sicuramente l’album della vita. La realtà, però, è che quando si tratta di fare e produrre musica, di cercare i featuring e i produttori azzeccati senza la paura di passare in secondo piano, i campionamenti sbalorditivi, di creare un disco che funzioni, Kanye West centra sempre il bersaglio. In tantissimi erano pronti ad imbracciare l’ascia di guerra per smontarlo ma, tra ego e insicurezza, genio e sregolatezza, Kanye è riuscito a zittire un po’ tutti riconfermandosi, nuovamente, uno dei più importanti artisti – nel bene e nel male – della musica contemporanea. The Life Of Pablo è l’ennesima scommessa vinta.

Name one genius that ain’t crazy“.

Tracce consigliate: Waves, FML, Ultralight Beam, Wolves.