Di fronte alla macchina dell’hype del giornalismo musicale inglese, le fazioni sono tendenzialmente due: il rifiuto totale in nome della fiducia più volte tradita o l’accettazione acritica e automatica di qualsiasi gruppo venga spacciato come prossimo salvatore della scena musicale mondiale (salvo poi ritrovarsi fan dei Royal Blood).

Chi è schierato con il primo gruppo è possibile si sia perso i Jungle, e sarebbe una cosa disdicevole. Live sono una bomba di energia, disco revival tiratissima che ha portato molti a scomodare addirittura Bee Gees e affini (qualcuno, da qualche parte sull’internet, ha citato addirittura Jo Squillo). Su disco, tutto il contrario: le canzoni sono pulite (fin troppo), pure quando ti aspetti partissero in un tripudio di allegria e trenini se ne restano lì, tranquille ed eleganti. Più funk e soul che disco, molto ben prodotto e abbastanza in linea con il filone Daft PunkPharrell – Indie Disco che ha imperversato negli ultimi anni.

Ci troviamo quindi davanti a qualcosa di ultraderivativo, che ammicca a mode recenti e in più pompato in maniera sospetta dai canali che contano? Si. Ma poi ci sono le canzoni. E le canzoni funzionano. Non solo funzionano: un paio di queste, come Busy Earnin’Time, possono tranquillamente essere inserite fra i pezzi più riusciti dell’anno. Mentre molte altre, citiamo in ordine sparso Platoon, The Heat, Julia sono singoli che tantissime band vorrebbero avere sui loro album.

Stiamo quindi gridando al miracolo? No. È un bell’album, ma non un capolavoro: ci sono canzoni che possono lasciare indifferenti (specialmente le due in chiusura) e rimane l’impressione che di ricette per confezionare canzoni i Jungle una ne conoscano, e che poi te la ripropongano con tante piccole, gustose varianti. Certo è che non assaggiarne almeno qualcuna sarebbe un vero peccato.

Tracce consigliate: Busy Earnin’, Time.