Sono buie le strade di Brooklyn, qualche rumore indistinto viene da lontano, traffico di auto, traffico di persone; è buio l’appartamento di Julianna Barwick e lei è nella stanza, da sola. La sua voce, con calma, inizia ad aprire spiragli nella notte, si stratifica, si incontra e scontra con le pareti, fa di tutto per prendere il volo amplificata da infiniti riverberi.
Per farlo, Julianna si avvale talvolta dell’aiuto di un pianoforte e di un violoncello (Beached, Heading Home), come vuole la più classica delle minimali tradizioni cameristiche, talvolta solo di basse frequenze generate da caldi sintetizzatori analogici – e qui sta la bella novità – che tutto avvolgono e che scandiscono l’incedere lento e sacrale verso la luce (Wist, Someway), talvolta di tutte queste cose (Big Hollow).
Ci sono momenti in cui l’oscurità si squarcia totalmente, di netto, e lascia entrare un chiarore accecante figlio di un’elettronica sempre e comunque umana. Ci sono gli arpeggiatori delicati e sporcati dal rumore che, come una fuga al rallenty, crescono e si aprono piano piano, senza però mai arrivare ad una, inutile, completezza formale (Nebula); ci sono gli arpeggiatori che martellano su un accordo senza mai scostarsi né variare, mentre intorno un rullante batte una marcia sempre più ariosa ma allo stesso tempo occludente (See Know). Quando i synth si fanno impalcatura e colonna portante dei sentimenti, poi, si raggiunge l’apice del lavoro (Same).
Will è un disco che vive grazie alla reiterazione delle piccole cose, che trasuda una incommensurabile voglia di fuga, che smania dalla voglia di diradare la tenebra ma che, ostinandosi a temere la luce del giorno, un paio di volte rischia di perdersi nella sua formula come un viandante senza lume.
Julianna Barwick, ad ogni modo, continua a rompere le barriere della materia per venire a trovarci in cuffia, proprio come aveva fatto brillantemente cinque anni fa con The Magic Place, e tre anni fa con Nepenthe.
Quando è buio, lei la strada la trova sempre.
Tracce consigliate: Same, Nebula
