Ho conosciuto Juan Wauters il giorno stesso in cui l’ho visto live, ovvero il 30 novembre scorso, a Milano, mentre faceva da band spalla a Mac Demarco. Essendo in viaggio tutto il giorno, io e l’amico col quale ero andato a vedere il concerto, non ci eravamo fatti ancora un’idea di cosa ci aspettasse. Siamo, infatti, rimasti stupiti una volta che Juan è salito sul palco: quando ha iniziato a strimpellare la sua chitarra, accompagnato dal fedele chitarrista Tall Juan (chiamato ironicamente così a causa della grossa differenza di altezza tra i due), il pubblico sembrava come ipnotizzato. La gente intorno a noi si chiedeva chi fosse quell’individuo davanti ai loro occhi; le mosse che faceva, il suo modo di cantare e di suonare avevano lasciato gli spettatori perplessi e solo dopo qualche minuto, tra il pubblico ci si era fatti già un’idea di che personaggio potesse essere Juan Wauters; i  modi di fare hanno fatto divertire gli spettatori che subito hanno seguito lo showman in ogni sua azione sino all’arrivo del tanto atteso Mac.
Alcuni giorni dopo la serata, ho iniziato ad ascoltare i lavori del ragazzo che, oltre ad un album solista, ha inciso anche più dischi con la vecchia band: The Beets. Con questo, siamo al secondo album solista: Who Me?

Iniziamo dicendo che lo stile rimane abbastanza invariato rispetto a N.A.P., le atmosfere sono sempre le stesse, molto calme, molto rilassate, non si cerca di stupire con suoni ricercati ma il solo scopo dell’album è quello di accompagnare l’ascoltatore durante un lungo cammino, raccontandogli le storie più svariate: da come vieni a conoscere una ragazza a cosa provi per il quartiere dove sei cresciuto.
Ci si accorge facilmente di due grossi cambiamenti: sono presenti più canzoni cantate in spagnolo ed è presente una grossa crescita a livello strumentale.
Riguardo l’uso della lingua spagnola, penso sia dovuto dal fatto che Wauters ci voglia far comprendere diversi aspetti della sua vita che non conoscevamo (Asì no Màs) e penso che non ci sia modo migliore di dirlo se non usando la lingua alla quale ci si è più affezionati visto che fa parte della propria famiglia da generazioni. L’accostamento tra le due lingue fa notare inoltre come il personaggio abbia a che vedere con due realtà e come debba comunicare in un modo con una diversamente dall’altra.
Riguardo invece la crescita strumentale dell’artista, c’è da ammettere che quest’ultimo si è dato da fare per accrescere i suoni con l’uso di sax, basso, tastiere e piano (Grey Matter), inoltre, a quanto ho letto in varie interviste, sembrerebbe che a suonare tutti gli strumenti sia proprio lui, registrandone uno alla volta in studio.
Nell’ultima traccia, El show de los Muertos, ci viene regalata persino una rappata in stile freestyle, preceduta da una suonata che contiene la strofa più significativa dell’album: “I grew up, thinking I’ll be a hero”, frase che probabilmente ha segnato quella che è la vita dell’artista adesso e che spiega come le aspettative di un bambino non sempre siano realizzabili.

Ovviamente l’album non è perfetto. Alle volte sembra che il tutto sia permeato da sin troppa leggerezza , acquisendo una certa semplicità e infantilità, quando invece non è affatto così. Sono sicuro che i testi e la musica trasmettano più messaggi di quanto sembri e che si riesca a capire il significato di tutto il lavoro solo dopo svariati ascolti.
Pur apparendo come un album di poco conto, Who Me?, nasconde grandi significati da scoprire e narra la storia di un ragazzo in cerca di spensieratezza ma sempre e comunque tormentato da pensieri e ricordi della sua vita passata.

Traccia consigliata: Asì No Màs