Se stai navigando su questo sito e non sai chi è Johnny Marr, probabilmente sei qui per puro caso, e se non hai quattordici anni (e quindi abbastanza tempo per guarire da quella brutta malattia chiamata ignoranza) puoi tranquillamente tornare a leggere XL o RS. Comunque sia, John Martin Maher per gli amici Johnny Marr da Manchester, UK è l’ex chitarrista degli Smiths, una band inglese che più di vent’anni fa ha fatto cose abbastanza importanti, tanto da essere solitamente inclusa nel novero delle band preferite anche dai peggiori poser sfigati. Come chitarrista, Marr ha creato riff dal sapore jingle-jangle talmente geniali da risultare ancora oggi una delle maggiori fonti di ispirazione per le band indie-brit pop e non solo, al punto da essere soprannominato Godlike Genius dai fan.

Il timore che, dopo 26 anni dallo scioglimento degli Smiths (passati da Johnny suonando con The The, Electronics, Healers, Modest Mouse e facendo il turnista con quasi chiunque), il nostro avesse perso un po’ di smalto, e che questo The Messenger  fosse più un lavoro di mestiere che d’ispirazione, era davvero grande. Per fortuna, però, la situazione è solo in parte come ce la aspettavamo, ed il primo disco propriamente solista del musicista britannico non è da buttare.

Schiacciando il tasto play, però, le prime impressioni non sono entusiasmanti: l’opener The Right Thing Right sembra uscita da Noel Gallagher’s High Flying Birds, e non è un bene considerando che molto spesso proprio Noel si è ispirato a Johnny; I Want The Heartbeat suona molto più aggressiva, sorretta da un basso metallico e da un testo sul rapporto tra l’autore e la tecnologia. In European Me riemerge il sound degli Smiths in tutto il suo splendore, così come nelle successive Upstarts, Lockdown e The Messenger.

Per carità, si tratta di tracce di gran valore, buoni arrangiamenti, sorprendentemente anche testi adeguati: ma si sente che manca qualcosa, manca quel pizzico di sale che renderebbe buonissimo il piatto servito. Ma ne riparleremo dopo.

Generate! Generate!, Say Demesne e Sun & Moon sono invece pezzi più vicini all’indie-rock dei primi anni ’00, lasciandoci il dubbio che per molti versi Marr abbia voluto limitarsi a fare il “compitino”, o che addirittura abbia scopiazzato qua e là, tra Franz Ferdinand e Bloc Party. The Crack Up è un parziale ritorno agli Smiths, periodo Strangeways…, variegati in salsa Beatles, quelli di Lady Madonna.

L’album si chiude con New Town Velocity, il brano più smithsiano e giovanile (“leave school for poetry”, racconta) dell’intero The Messenger, nonché il più affascinante, e Word Starts Attack, più simile ad un pezzo dei Wire.

Giudicare questo disco senza lasciarsi inebriare dall’alone di mito che circonda il suo autore è difficile. Ancora più difficile è non notare che Johnny avrebbe potuto fare molto meglio solo sforzandosi un minimo in più, anche continuando a riproporci in toto la musica con cui ci aveva già deliziato negli Smiths; cosa che purtroppo ha fatto solo in parte, con esiti molto buoni (European Me, Lockdown, New Town Velocity). Bisogna però considerare il fatto che JM non è mai stato un vero artista solista, e che questa è la sua prima vera prova come tale: questo può essere un attenuante ma non giustifica alcune stonature stilistiche fin troppo evidenti.

Prima affermavo che nei pezzi più smithsiani mancasse qualcosa, come una spolverata di cacio sui maccheroni; ecco, quel quid che manca, come qualcuno di voi lettori avrà sicuramente notato, è proprio la voce di Steven Patrick Morrissey.

Tracce consigliate: New Town Velocity