Né di lustrini né di paillettes, ma di una profumata e rosata cipria è cosparso Apocalypse, Girl. Le chitarre non strillano, come in Innocence Is Kinky, e neanche Jenny Hval ne sente più il bisogno; impera un religioso silenzio tra le scritture dell’ultimo lavoro della compositrice norvegese. È un record anestetizzante Apocalypse, Girl, che come il talco della cipria attorciglia la gola e ferma il respiro. La nube spessa della fine polvere copre ed opacizza le cicatrici dei tempi andati, ma non l’unta femminilità anarchica e provocatoria della nativa di Oslo, che già in apertura è espressa per mezzo dello spoken word di Kingsize: What is soft dick rock?/Using the elements of dick to create a softer, toned-down sound. I versi si alternano a tenui gemiti ed il tono del parlato è sommesso, ma si acuisce al pronunciare di parole quali dick o banana, ciò al fine di smantellare l’idea di una sessualità costretta in schemi socialmente imposti. L’intento della Hval, oltre che quello di mirare ad una sessualità libera, è allora quello di marcare i temi trattati imponendo una distanza con l’ascoltatore il quale, impacciato e a disagio, mostrerà verso gli stessi un’attenzione maggiore che in un rapporto confidenziale. Si spiegano così sia l’intima domanda posta in Take Care Of Yourself  (Cosa vuol dire prendersi cura di se stessi? Essere pagati? Fare sesso? Sposarsi? Rimanere incinta?[…] Realizzare il proprio potenziale? Essere sani, puliti, […], non farsi male?) che le altisonanti considerazioni tratte in That Battle Is Over (Le statistiche ed i giornali mi dicono che sono infelice e morente, che per compiermi ho bisogno di un uomo e di un bambino, che ho più probabilità di ammalarmi di cancro al seno).

La trama dell’intero lavoro è tanto intrecciata che la linea ritmica scelta da Jenny Hval è quella espressiva, melodica e contenuta, così rinunciando alle scritture conflittuali dei lavori precedenti incattivite da distorsioni e reminiscenze gotich. Strumentalmente Apocalypse, Girl è allora estremamente semplice come le poche note del synth electro-pop di Take Care Of Yourself, ed anche assai morbido come il cantato soul e l’organo anemico di That Battle Is Over, ma soprattutto è intimamente pervasivo come il coro monodico e liturgico di White Underground o il lirico fantasy e l’influenza sinfonica di Angels & Anaemia. Heaven è l’unica traccia dell’intero album scritta su un vaporoso ma fiero kick che contraddice il devoto canto accordatogli, ciò probabilmente al fine di sporcare una sacralità spesso formale delle istituzioni religiose che tendono a separare il corpo, la carnalità dallo spirito. Una divisione questa che la Hval punta a superare in Sabbath, una traccia incontenibilmente intima e mista di sensualità e pudore, di castità e desiderio smodato e ossessivo di soddisfare i propri piaceri sessuali.

Oltre a possedere un carattere politico ed intellettuale è all’avanguardia Apocalypse, Girl, perché forzando ai limiti, fino al punto di rottura, le rappresentazioni sociali classiche pone in essere una rappresentazione parodistico-caricaturale della sessualità, della femminilità e della concezione individuale dell’uomo e del suo corpo. Il significato dell’intero lp, che in un primo approccio può risultare oscuro, va cercato nei testi che lo compiono e nell’immedesimazione con l’autrice norvegese; in questo è richiesta all’ascoltatore una vera e propria opera di lettura e non una tranquilla e normale fruizione del prodotto. È avanguardista nei contenuti Apocalypse, Girl, nello sperimentalismo artistico, e non per la troppa appariscenza della sua forma sgargiante; né di lustrini né di paillettes, ma di una profumata e rosata cipria è cosparso.

Tracce consigliate: Heaven, Sabbath.