Dopo due dischi con i compagni d’avventura xx, dopo remix vari e collaborazioni importanti, dopo dj set qui e là e dopo aver dato in pasto al web una grande quantità di singoli, finalmente esce il primo vero lavoro solista di Jamie xx: In Colour. Il disco che dovrebbe rappresentare la sua maturità, il suo biglietto da visita per riuscire ad essere in egual misura “il produttore degli xx” e “un grandissimo produttore contemporaneo” in senso lato, come un Four Tet o un Burial, per esempio. Se questi due (nominati di proposito, ovviamente, date le derive sonore di Jamie xx) hanno però saputo evolvere la propria cifra stilistica pur rimanendo riconoscibili nel sound, Jamie non sembra riuscire nell’intento, o almeno non al 100%.

All’interno di In Colour, infatti, troviamo di tutto e di più.
Troviamo tracce cantate dal retrogusto pop, tutte chitarrine e synth patinati, uno sguardo al passato che non a caso coinvolge gli amici Romy (Seesaw, non memorabile, e il singolone Loud Places) e Oliver (Stranger In A Room, che pare non avere né capo né coda). All’opposto troviamo invece quella tamarrata senza ritegno di I Know There’s Gonna Be (Good Times) che “vanta” i feat di Young Thug e Popcaan: tra swag e dancehall si vola diretti nel peggior club di Atlanta, e se è innegabile che la presa bene ad un’eventuale festa in spiaggia a tema Jamaica sembri inevitabile, è altrettanto innegabile che l’asticella della qualità cali a picco e che la decontestualizzazione della traccia lasci un po’ perplessi.
Il vero cuore del disco sono però tutti gli altri pezzi, quelli fatti di campionamenti, loop, synth e drum machine. L’iniziale Gosh, per esempio, parte benissimo: bassone e beat molto grezzo con campionamento vocale impossibile da dimenticare “Oh my gosh, easy!”. Piano piano la traccia si apre, il basso apre la strada a un lead che suona molto “umano”. Tutto bello eh, però Jamie caro 5 minuti con lo stesso identico dannatissimo giro di percussioni in sottofondo davvero ti saresti potuto impegnare di più, non dico tanto, una variazione qui e là, un break. E invece no. Un po’ come Hold Tight, arpeggiatori che crescono e crescono e si aprono e si aprono e poi basta, fine. Le già note Sleep Sound e Girl (quel giro di basso) sono, come sappiamo, tracce riuscite e compiute, con una loro ragion d’essere che coniuga l’ascolto in cuffia con il presagio di un ottimo riscontro in dancefloor. Obvs parte non benissimo con dei synth un po’ troppo plasticosi, ma piano piano si apre lasciando ben sperare per un climax che però non vedrà mai la luce (purtroppo); lo stesso non si può dire di The Rest Is Noise, il cui crescendo fa discretamente volare: pianoforte, chitarra, vocal, beat in divenire, dinamiche sempre in evoluzione; una traccia perfetta, come avremmo voluto fossero tutte le altre.

In Colour ha ottimi suoni (e non poteva essere altrimenti) e ottimi spunti che, quando vengono portati a compimento, lasciano emergere trionfante il talento del ragazzo inglese. Troppo spesso però Jamie sembra accontentarsi delle prime idee, delle prime concretizzazioni, senza andare a fondo e senza sviluppare appieno le potenzialità di alcuni beat o giri melodici. Alle volte si sente puzza di copia-incolla selvaggio, di poserismo elettronico mischiato a forza con un pop piacione che copre tutto con un velo asettico ed avulso da emozioni.
In Colour è un bel disco, non un capolavoro.

Tracce consigliate: Girl, The Rest Is Noise