Eccoci qui, di nuovo, a parlare degli Is Tropical, trio di base a Londra da tanto tempo sulla bocca di tutti e fenomeno mediatico per tanti e svariati motivi.

Bandane indossate durante i live e le occasioni pubbliche per non farsi riconoscere, un video davvero morboso e melodie catchy studiatissime hanno fatto in modo che si creasse il giusto alone di mistero misto a curiosità e che la band ottenesse, in tempi relativamente brevissimi, una notorietà spropositata.
I tre, avuta quindi un’ottima risposta dal primo disco, Native to, tutt’altro che sprovveduti, hanno evidentemente capito di dover lavorare a questo secondo disco, intitolato I’m Leaving, con tanto impegno e numerosi sforzi per fare il salto di qualità e riconfermarsi, con stampata nella mente la chiara consapevolezza del rischio enorme di “bruciarsi”, di far saltare il banco e cominciare l’inesorabile e istantaneo retrocedere verso il dimenticatoio.
Rischio, lo diciamo subito, assolutamente scampato.
Ma andiamo con ordine: analizziamo il disco proprio con l’aiuto di Simon, frontman della band, che, in un’informale chiacchierata, ci ha raccontato il perché di alcune scelte e degli aneddoti circa la preparazione del disco.
A partire dal titolo: I’m leaving perchè, essendo la band costantemente in tour nel periodo tra i due album, quest’ultimo è stato scritto praticamente on the road, durante i viaggi e le partenze tra una nazione e l’altra.
Composto da dieci tracce, si presenta come un album decisamente più solido, studiato e maturo del primo; i suoni sono più elaborati e complessi e ogni singola traccia pare essere stata curata fin nei minimi dettagli. C’è meno spensieratezza, per dirla tutta.
Per questo album abbiamo avuto a disposizione diversi strumenti molto vecchi (sicuramente più costosi di quelli che usiamo di solito) dal suono unico e spettacolare; inoltre, credo di poter dire, con tutta la modestia del mondo, che comunque col passare del tempo siamo migliorati anche noi, quindi la scelta e il tipo di suoni risentono anche di una nostra evoluzione naturale“.
È sempre Simon a raccontarci che il sound di questo disco è stato influenzato, oltre che da tutto ciò,  dal mix di band con cui hanno condiviso il palco e con cui hanno collaborato, insieme ad esperienze personali, quali aver rotto con la propria fidanzata storica e l’essere diventato (temporaneamente) un senzatetto. Tutte queste cause hanno sicuramente contribuito alla nascita di alcune canzoni più cupe, che forse non avrebbero trovato spazio nel primo disco.
Le canzoni, appunto. Si parte con Lover’s Cave, singolone elettronico esplosivo, meno rave di pezzi come The Greeks, ma con la stessa attitudine da dancefloor.
Arriva poi Dancing Anymore, pezzo già divenuto molto celebre per il video, censurato da youtube, che ha fatto tanto parlare di sè. In questa canzone la prima voce è Kirstie, la bellissima fidanzata di Gary, che fa da seconda voce in quello che è un riuscitissimo duetto.
Tanto riuscito quanto nato praticamente per caso: Gary, dopo aver scritto la canzone, le aveva chiesto di cantarla solo per avere un accompagnamento, in quanto unica persona nella stanza assieme a lui. Il resto è storia.
Lilith Leave the Party sono due buoni pezzi che ci traghettano verso uno dei più malinconici dell’album: Cry. Ritmo altalenante, testo piuttosto triste, sonore schitarrate vanno a comporre questa traccia ispirata da Boys don’t cry dei Cure, come ci ricorda Simon.
” Ho ascoltato il pezzo dei Cure una mattina e ho pensato a quanto fosse bello; ho soprattutto pensato a quanto sia bella l’idea di ragazzi che piangono senza vergogna. Così mi son messo subito a scrivere e comporre: la sera era tutto pronto”.
Dopo altri quattro pezzi che tengono viva l’attenzione dell’ascoltatore, l’album si chiude con Yellow Teeth, pezzo uscito come singolo prima che l’album fosse pubblicato.
È un’altra ballata malinconica, dall’atmosfera cupa e dal testo piuttosto poco ottimista, che conferma definitivamente e dimostra ancora una volta quanto e come gli Is Tropical siano (finalmente) diventati una band matura, che non ha paura di lasciare i percorsi già battuti e lanciarsi in prove più impegnative, uscendone perfettamente rinvigoriti.
“Non so cosa ci aspettiamo da questo album. I nostri hangover sono sempre più pesanti, non abbiamo ancora perdonato i nostri padri, abbiamo nuovi amori e nuovi amici, siamo molto più aperti e pazienti di prima. Aspetta, forse lo so cosa vorremmo: vendere tutte le copie e diventare ricchissimi. Abbiamo un’attitudine molto più hip&hop che indie, forse perchè veniamo tutti da famiglie molto molto povere”. 

Recommended tracks: Yellow Teeth, Cry, Dancing Anymore