E’ notte e mi trovo da qualche parte nel sud di Londra. Le strade sono deserte e ad un certo punto vedo di fronte a me la Holy Ghost Church nel quartiere di Balham. Dalle colorate e grandi vetrate della chiesa sbuca una leggera luce, sembra ci sia qualcuno dentro e non avendo niente di meglio da fare decido di entrare. Appena apro il portone vedo subito un gruppetto di persone che chiacchierano tra di loro, le loro voci riecheggiano nella navata della chiesa, poco dopo delle note di organo riempiono il vuoto della chiesa. L’organo si trova subito dietro l’altare e a suonarlo vedo solo una sagoma coperta dall’ombra (I). Quella sagoma ora si alza e si sposta verso un pianoforte, vicino c’è anche una batteria, un set molto essenziale- un paio d’accordi e la voce di questo ragazzo è come un lampo che illumina la chiesa (White Chalk). A sostenere la sua voce un rullante sordo, quel tipo di rullante che ho sentito spesso in Burial, anche il piccolo coro aiuta a rendere questa cerimonia, non so come altro definirla, un qualcosa di davvero solenne. Pensavo di dovermi aspettare brani che mi ricordassero dei canti gregoriani per certi versi, invece questo giovane ragazzo inglese mi sorprende con un brano I’m Not There che rientra nei canoni della soul-step, quella resa nota da James Blake. Molti suoni e linee vocali mi ricordano ciò che ho ascoltato in brani come The Wilhelm Scream.
Tra un brano e l’altro sento rumori strani come strusciare di catene o passi di estranei, evidentemente non siamo soli. In Funeral un pattern ovattato di batteria e uno scurissimo synth fanno da sottofondo ideale alla sua voce, che come impostazione qui ricorda parecchio Thom Yorke. Una breve pausa, il ragazzo beve un bicchiere d’acqua, i coristi sfogliano i loro spartiti e mi accorgono che la chiesa si è quasi riempita: altri vagabondi notturni hanno risposto al richiamo di questa splendida celebrazione.
Una specie di segnale è quello mandato dal noise del suo synth, a render conto che si sta ricominciando. E’ Shadow Of The Colossus. Qui la passione per l’elettronica diventa evidente e il suond riporta sempre a gente come Blake, William Bevan (aka Burial) e compagnia bella. Ma la sua voce lascia sempre quell’impronta soul al brano. La batteria picchia duro e da al brano quella piega trip-hop. Una delicata linea di piano elettrico riempita di chorus e accompagnata da archi ci fa capire che “la messa è finita,andate in pace” (Winter Prayer).
Tutto questo è ciò che ho immaginato e provato ascoltando Ark, primo LP di questo 21enne londinese proveniente proprio da South London, zona che tanto ha dato alla musica di questi ultimi anni. Basta fare un nome (che ho già fatto peraltro) che pesa come un macigno: Burial. Proprio dal producer di LP/EP capolavoro come Untrue o Kindred, Sam Howard ha tratto molte idee rielaborandole però in una chiave molto più soul. Forse per questo viene subito alla mente il paragone con James Blake anche pensando al modo di cantare. Proprio riguardo alla sua voce si notano similitudini con Mike Hadreas (Perfume Genius).
Ark è il secondo lavoro di questo promettente giovanotto, prima di questo LP è uscito sempre a nome Halls, Fragile EP, nel gennaio 2k12. A dispetto di chi dirà che è solo un tentativo di imitazione di James Blake, verrà smentito dal tempo, questo 21enne avrà molto da dire nella musica e sarà anche qualcosa di importante.
Keep an eye on him.