In questo album c’è tutto di Gruff Rhys. Partendo da questa premessa, è opportuno inquadrare il personaggio di Gruff per capire cosa vuol dire mettere tutto se stesso in un album. Gruff è un musicista, film-maker, produttore e talvolta pure idraulico perché no. Viene dal Galles ma studia a Manchester, ha avuto vent’anni negli anni ’90 dunque se 2+2=4 (non per i Radiohead, questo è vero), Gruff non può che essere un nostalgico di quel fenomeno tanto ampio quanto circoscritto che è stato il brit-pop. La sua fortuna la fa con i Super Furry Animals, ma da quando decide di mettersi in proprio la storia cambia. Se questo non bastasse, citare un paio di collaborazioni eccellenti chiuderà il cerchio: Mogwai, sir Paul McCartney ed infine Gorillaz. Se si parla di Gorillaz non può che venire in mente quel sant’uomo che è Mr. Albarn. Ecco, Damon Albarn rappresenta in pieno la figura di riferimento di Gruff Rhys; Damon è il padre putativo (musicale) di Gruff, che si pone come il fratellino meno dotato a cui però una chance non si nega, perché in fondo la sua gavetta l’ha fatta.

American Interior però non è solo la storia di Gruff, anzi, è la storia di un sognatore di nome John Evans, un esploratore gallese che a fine ‘700 se ne va in America alla ricerca di tribù indiane di origine gallese, frutto forse solo di una leggenda metropolitana. Questa storia ha ispirato talmente tanto Gruff che ha deciso di dedicargli un album, un libro e pure un’app. Cosa possiamo dire? L’album è composto da innumerevoli elementi, tenuti insieme dall’artista, ma talvolta pare un po’ perdersi. La doppietta iniziale rappresentata da American Exterior e American Interior  è una vera e propria bomba, nonché forse anche il picco massimo da cui l’album non può che calare lentamente. I semplici elementi che creano il welsh-pop (neologismo musicale) di Rhys sono talvolta coadiuvati dall’innovazione che è intervenuta negli ultimi 20 anni in campo musicale, ossia l’elettronica, lasciati sapientemente ai margini così da non farli stonare con la chitarra di uno che ha collaborato con sir McCartney. A tutto ciò si aggiungono massicci elementi tipici della cultura indios, come appare evidente in Allweddellau Allweddol o in Iolo (che non è la versione egoista di Y.O.L.O. ma il nome di un collaboratore di John Evans).

Avevamo detto che di Gruff c’è tutto in questo album, ed è vero; abbiamo visto che c’è una componente brit-pop, che ci sono le reminescenze delle sue collaborazioni, ed infine che come film-maker Gruff se la cava alla grande, come testimoniato dal video della title-track. Ma soprattutto di Gruff qui ci sono le origini, quelle origini gallesi di cui deve andare talmente fiero da aver scelto di dedicare un personaggio ai più sconosciuto tutto ciò che poteva.
Ah, come è andata a finire l’esplorazione di John Evans? Nessun risultato, uno splendido buco nell’acqua che però lo ha reso celebre. Gruff Rhys dal canto suo non esplora niente di nuovo, ma riesce a tirar fuori un bel disco pop, piacevole, interessante e molto curato.

Traccia consigliata: American Interior