Shields, il quarto lavoro in studio della band di Brooklyn, appare come una trasognata donna di mezza età che sta per lavarsi i capelli a bordo di una vasca da bagno. Una bella scena sì, che sarebbe chiaramente definita migliore se avessimo a disposizione un idromassaggio e una ragazza di una ventina d’anni più giovane della sopracitata. Ecco, ho reso l’idea.

I Grizzly Bear sono bravi, ma spesso cadono in queste partiture neoclassiche di non dichiarato spessore che davvero annoiano al punto che dici “Bah” lasciandoti cadere all’indietro.
Ad ogni modo, prescindendo da questo tedio gemebondo, si può dire che l’album suona bene, i suoni sono ricercati (forse troppo), e i ragazzi sono intonati; Una serie infinita di chitarre balla con gusto sopra a basso e batteria, che ci danno dentro, bisogna ammetterlo; apprezzattissimi anche gli arrangiamenti di archi e fiati, anche se contribuiscono notevolmente a mettere in bocca alla band le frasi <a noi piace il neoclassicismo> e <questo pezzo lo dedichiamo a Marat, che ci ha dato tanto>, ma tutto sommato non fanno altro che confermare il mood del disco.
E già, ogni tanto c’è anche un piano che balla assieme a basso e batteria.
I pezzi migliori secondo il mio punto di vista paragonabile a quello di uno che in questo momento è dall’altra parte della strada e mi guarda con fare sospetto? Beh, Sleeping Ute che apre il disco (ed affettivamente all’inizio mi ricordo che ero felice, comincia ad annoiare dopo, è un dato di fatto), e What’s Wrong che ha un che di particolare, ferma un po’ il disco, lo rallenta, e ti dice che sarebbe meglio che ti siedi comodo.
Questo è quanto, piacere mio.