A questo giro uscirne illesi è praticamente impossibile.
I GOAT, ovvero i misteriosi svedesi mascherati (99 su 100 sgozzatori di capre nel tempo libero) che hanno rievocato l’anima di Fela Kuti e che hanno preso in ostaggio George Clinton già nel 2012 dall’esordio di World Music, sono tornati abbastanza in sordina con il loro terzo lavoro anticipato dai singoli I Sing In Silence e Try My Robe.
Per la prima volta ci troviamo davanti ad un album di ben 13 pezzi e si arriva tranquillamente all’oretta abbondante, praticamente quasi il doppio della durata dell’ottimo predecessore Commune. La formula vincente dei GOAT rimane sempre la solita, con qualche graditissima novità. Siamo sempre sui territori afrobeat, inframezzati da una marea di psichedelia e loop a go-go, il solito Bender in modalità “jacking on” che imperversa su ogni traccia, ed una maggior apertura verso sonorità folk. Come al solito il suono rimane volutamente grezzo (con maestria, sia ben chiaro) e c’è solo un pericolo che aleggia: ma non è che ripeteranno sempre la solita solfa?

La risposta è un secco no, perché anche Requiem vive di una propria identità del tutto singolare che riesce a differenziarsi dai primi due album.
L’approccio iniziale convince e spiazza a dovere: ci troviamo in una specie di suite bucolica in cui chitarre acustiche e pan flute la fanno da padrone(Union of Sun And Moon è un’apertura con i fiocchi), e al termine del cerimoniale tribale di Temple Rhythms  il signor flautista viene cacciato dalla sala di registrazione, e probabilmente sta ancora vagando in qualche bel boschetto scandinavo stordito dagli acidi.
Nella parte centrale ritroviamo gli oramai classici GOAT tra momenti che possiamo definire più riflessivi (Psychedelic Lover, It’s Not Me) ed alcune piccole gemme come l’allucinazione/manifesto di 8 minuti di Goatband e una Trouble In The Streets che può far drizzar le orecchie a mostri sacri come Peter Gabriel, Paul Simon e David Byrne. Sì, la sensazione che queste siano tutte jam andate a buon fine è sempre presente: il loro grande talento sta proprio nel non riuscire mai ad annoiare con i loro mantra che si ripetono costantemente.
Il finale è riservato al momento più lisergico, quello più pericoloso per la nostra psiche. Dopo l’arrogante e provvidenziale acid/funk/rock di Goatfuzz arriva l’estremo saluto di Goodbye, ovvero l’ennesimo mistico distacco con la realtà che defluisce nell’inaspettata Ubuntu che…come possiamo definire? Una lunga sperimentazione ambient in cui si sentono gli echi distanti di Diarabi dal primo LP, ovvero il famigerato colpo di grazia.

Requiem è il terzo centro consecutivo del collettivo svedese, che per quanto possa risultare ancora schiavo di un passato musicale piuttosto scomodo comincia a delimitare con decisione una propria identità ben distinta e scintillante.
I GOAT si confermano come una delle realtà più vive ed entusiasmanti della scena musicale europea, ed una delle esperienze live alle quali è assolutamente vietato mancare in vista del nuovo tour.

Tracce consigliate: Goatband, Trouble In The Streets