“A beautiful place to come and think about terrible things” è l’idea che il frontman Scott Hutchison ha dato al nuovo album dei Frightened Rabbit, Painting of a Panic Attack. E in effetti per il quintetto scozzese i cambiamenti avvenuti negli anni sono stati molti, tra cui quello forse più importante: dalla melanconica Scozia Scott Hutchison si trasferisce a Los Angeles, dove incontra Aaron Dessner (The National), che di Painting of a Panic Attack finirà per diventare il produttore.

Per una band che quella melancolia arrabbiata e etilica tipicamente nordica l’aveva resa musica insieme a poche altre band (Arab Strap fra tutti, ma anche The Twilight Sad e We Were Promised Jetpacks), il cambiamento musicale è profondo, eppure non completamente sciolto dalla discografia precedente. L’ultimo Pedestrian Verse (2013) era già molto più rifinito di Sing the Greys (2006) o The Midnight Organ Fight (2008), ma per questo quinto album il sound luminoso e pulito degli arrangiamenti spinti da Dessner aiuta a rendere Painting of a Panic Attack quel “beautiful place” che si porta dietro quelle “terrible things” che, invece, negli anni sono rimaste intatte nella penna di Hutchison. Il prodotto è qualcosa che ricorda molto una versione più rabbiosa di Trouble Will Find Me, ma che – anche per questo – in qualche momento rischia di mancare di autenticità.

L’album si apre con delle aspettative altissime, perché Death Dream è probabilmente il brano più bello di tutto Painting of a Panic Attack, e da cui il disco prende il nome:

Blood seems black against the skin of your porcelain back
A still life is the last I will see of you
A painting of a panic attack

Laconica e funerea l’apertura, l’album continua con Get Out che, insieme a Woke Up Hurting, è ciò di più vicino a una hit alt-rock ottenibile dalla band, con hook accattivanti che ritroviamo anche in Break o Blood Under the Bridge. Sono proprio questi ultimi tre momenti più upbeat che travisano a tratti l’intento dell’album: non per i synth o i cori in sé, ma per la palese differenza di scrittura tra la rabbia adolescenziale del rock di Get Out e quello meno ‘sentito’ di Break: sono dei brani – pur sempre bei brani – in cui i Frightened Rabbit spersonalizzano i Frightened Rabbit, rischiando anche di intaccare l’autenticità di altri pezzi altrimenti inattaccabili, dove invece l’incontro tra musica e liriche, anche se evoluto, rimane di livello alto e sempre molto personale e distintivo.

Resta comunque difficile corrodere quel che rende Painting of a Panic Attack un album ricco e ben prodotto, e al di là di qualche pecca l’influenza positiva di Aaron Dessner la si sente molto in brani come Lump Street e Still Want to Be There, che con I Wish I Was Sober sono i brani in cui l’evoluzione del sound e la personalità ruvida di Hutchison trovano l’equilibrio migliore. Per completare lo spettro tra cambiamento e conservazione, oltre a Death Dream ci sono poi altri due pezzi in cui i Frightened Rabbit smantellano la full band e si concedono dei momenti intimi, più grezzi e memori di quel gioiello che era The Midnight Organ Fight400 Bones e Die Like a Rich Boy.

Painting of a Panic Attack è lungi dall’essere un album perfetto; forse è un album che non vi piacerà ascoltare per intero perché il livello, seppur alto a conti fatti, non è costante. Eppure, come spesso succede con i Frightened Rabbit, conserva dei momenti di perfezione che gradualmente ti consumano, che forse è quello che vi è successo se li avete scoperti anche voi con Keep Yourself Warm. Magari la soluzione non sta nel cambiamento radicale, ma nella dose giusta di innovazione, tipica mestizia scozzese (che tanto ci piace) e il numero giusto di brani: piuttosto che 12, ne sarebbero bastati anche 9.

Tracce consigliate: Death Dream, I Wish I Was Sober