Comincia tutto con un colpetto di tosse. Frah Quintale inizia schiarendosi la voce il suo primogenito da solista, Regardez Moi, album che ha avuto una lunga e inusuale gestazione – tramite la playlist di Spotify Lungolinea sviluppata direttamente da lui – culminata il 23 novembre, con la pubblicazione del disco.

Si è schiarito la voce perché con Regardez Moi l’autore ci racconta una piccola e malinconica commedia amara, della quale, come spiegato, conoscevamo grossomodo il canovaccio, e che ora, in dieci tracce si è rivelata nella sua totalità. E le aspettative sono state rispettate.

Il disco conferma le impressioni che “lungolinea” si erano generate. Si tratta di una formula che nel 2017 ha dominato in lungo e in largo, ovvero una soluzione di solvente pop, gradevolissimo e orecchiabilissimo, nel quale si è disciolto il soluto rap, che di fatto è l’anima originale di Frah.

Della componente rap, ne è rimasta in parte l’attitudine, la vocazione street che emerge tutta in Nei treni la notte e in altri luoghi del disco; ne è rimasta poi la perizia del fraseggio, o se si preferisce flow. Questi tratti “somatici” rap sono andati a inserirsi in filigrana in un foglio che invece è per lo più pop nelle sonorità, un pop tutto tendente alle tematiche, ai colori, alle sfumature lessicali e semantiche della contemporanea scena indie italiana.

Uno schema trito e ritrito, si potrebbe obiettare, che ormai, giunti verso la fine dell’anno, non farebbe di certo più nemmeno notizia. Sennonché, Frah Quintale trova una scappatoia. E la trova nel taglio che alla storia del disco vuole dare, nelle parentesi entro cui chiude i suoi versi; la trova nella estrema ironia che connota tutto l’album, specialmente autoironia, tratto che genera nell’ascoltatore quella curva della bocca che siamo soliti chiamare “sorriso”. Ma un sorriso che si abbassa presto, e si dissolve in una smorfia di amara tenerezza, scioglimento quasi obbligato nei confronti di quell’io protagonista di tutto Regardez Moi.

Sì, perché il soggetto del disco è un soggetto molto empatico, col quale si ha molta confidenza oggi, e la storia di cui è protagonista è una storia che in molti hanno – o potrebbero – sperimentare.

Tu mi parli
io ti guardo
come se fossi su un altro pianeta
siamo così diversi
così distanti
che non so più nemmeno chi ho davanti

(8 miliardi di persone)

Frah Quintale ha il merito di aver connotato e colorato la storia di una lei che ha educato i suoi sentimenti sul modello Disney, e un lui che invece l’ha fatto su Pornhub.

Tu volevi solo innamorarti io soltanto possedere
Passo da esser l’unico che guardi a non ti voglio più vedere

(Cratere)

Due visioni dell’amore inconciliabili, che si repellono come i segni uguali di due diverse calamite: ecco, Frah Quintale, in Regardez Moi, racconta quello spazio mediano di repulsione assoluta, che non permette alle due polarità di combaciare fino in fondo.

Ed è uno spazio in cui il protagonista della storia ne esce cappottato, completamente confuso:

Faccio la spesa a caso senza pensarci troppo su
Poi torno a casa e manca ancora tutto e mi manchi pure tu

(Floppino)

Si sta senza alcun punto di riferimento, si vive in un appiattimento totale, che è stretto parente del mondo circostante:

Cambio canale alla televisione, ma danno solo film d’amore
E io di amore non ne posso più da quando non ci sei tu
Metto un telegiornale che c’è quella giornalista così bella
Parla del campionato e della guerra come se non ci fosse differenza
Ma almeno mi distraggo un po’

(Floppino)

Tra questo confuso appiattimento psicologico e contestuale, c’è spazio solo per alcune voragini, che sono ricordi e rimorsi; uno dei tratti più belli de disco è proprio l’evocare questi momenti, davvero esilaranti, seppur comunque amari: in Cratere ciò che manca di più dell’amore è lo “stare via due settimane / e guidar come Schumacher / sul furgone di tuo padre” [Cratere], per esempio. In Floppino c’è una epifania comica, “Continuo a veder l’auto uguale a quella che guidavi tu / Bordeaux però c’è un vecchio pelato a bordo”. E tutta comica è Sì, ah, in cui si consuma quello che di fatto è il sogno recondito di Quagmire dei Griffin, e al tempo stesso anche quello del nostro protagonista (che ci dà conferma, intanto, della sua formazione sentimentale).

La cifra comica, ironica, parodica e auto-ironica è essenziale in Regardez Moi, è il fattore forse preponderante che ha reso il discorso amoroso di Frah Quintale diverso dai suoi cugini stretti (intendo la schiera ormai folta di prodotti melensi che possono collocarsi nella stessa ideale playlist in cui può militare Frah). E lo è ancor di più perché questa cifra è funzionale al suo contrario, ovvero al senso di malinconia che pervade tutto il disco. Per questo si è detto che il cantautore ha messo in scena una vera e propria commedia amara, fatta di contraddizioni, implicite e esplicite, come per esempio il rovesciamento di fronte che rappresenta il testo de Gli occhi. Nel penultimo brano, in disaccordo col ruolo da vittima goffa e anche un po’ stizzita fino ad allora dominante, si rivela invece davvero la quintessenza del disagio di chi appunto si è educato sentimentalmente su Pornhub: ecco qua che improvvisamente l’io del disco fa mea culpa,

Perché ho i sogni molto più grandi del cuore
E tu gli occhi molto più grandi della fame
Ed io dovevo andare anche se non so dove
E adesso tu mi starai dando dell’infame
Perché non son riuscito a darti un po’ di amore
Non potevo far peggio di così

Qui  è situato il cuore di tutto il disco: “non potevo far peggio di così“. Da questo mea culpa partono tutti i ricordi, tutti i rimorsi e tutte le contraddizioni che sono la poetica principale di Regardez Moi. In sostanza: tutto è mosso dalla sensazione assurda e masochista che sta tra “l’andare [via] anche se non so dove” ma al contempo morire dentro, perché ci si è resi conto che questa decisione, origine di tutta la malinconia, è una scelta propria e libera e inevitabile: riecco la repulsione tra le due calamite. Così, infatti, continua Gli occhi:

E ho il terrore del tuo letto che ci sia già dentro un altro
Che ti sia sceso l’effetto della droga che ti davo io
Steso sopra il pavimento conto i danni che ti ho fatto
Ho una freccia dentro al petto tutto il male è ritornato mio

La commedia di Frah Quintale ipotizza però una soluzione: il protagonista dei brani potrebbe trovare il suo salvagente prendendo spunto da un’altra – stavolta davvero commedia amara – ormai entrata nell’immaginario del ventunesimo secolo (e tra l’altro palese è il rapporto tra l’autore e il cinema, si veda il video di Cratere): come in Eternal Sunshine of the Spotless Mind la soluzione per porre fine a una assuefatta situazione di disagio consiste nel sottoporsi a uno svuotamento della memoria, così in Regardez Moi:

E vorrei essere un computer
Per potermi riformattare
Disinstallare il nostro amore
Per poi poter dimenticare
Come si faceva ad amare
Qual era il nome del tuo cane
Cosa ti piaceva mangiare
Dov’eravamo stati al mare
La tua macchina e il suo colore
La tua faccia e il tuo nome, vorrei dimenticare te

Questo non è in una sceneggiatura di Kaufman; non è una immagine diretta da Michel Gondry. Questo è Floppino, il brano forse più bello di Regardez Moi. Un disco dal sorriso amaro, che racconta la malinconica commedia di chi, oggi, non sa che “differenza c’è tra l’amarsi e il volersi bene”.

Tracce consigliate: Cratere, Floppino, Nei treni la notte