Hype, hype e ancora hype. Rilasciare un singolo, poi un video con le parole di una canzone, poi una versione live, poi una piccola anteprima per ogni traccia, poi il sito figo, poi una cover, poi cos’altro hanno fatto? Sin dai tempi di Total Life Forever, la band (e/o chi per loro) ha sempre dimostrato di riuscire a farcela salire discretamente con questi piccoli regali. Ed è subito pre-order!

Si inizia fortissimo: la title-track e Mountain At My Gates aprono l’album allo stesso di modo di Inalher e My Number 2 anni fa. La prima fa pogare un’intera generazione di indie teenager, oramai cresciuta e consapevole che ad una certa età è giusto tirare fuori gli attributi. La seconda invece ci tiene impegnati a cantare il ritornello e a prepararci a un disco mozzafiato, che però non arriva così facilmente.

In ordine sparso infatti poi troviamo Birch Tree, Give It All e Night Swimmers che sembrano le demo rispettivamente di Miami, Alabaster e After Glow. Un grosso punto a sfavore quindi, nonostante i pezzi non siano affatto male, ma a noi fan non basta avere il contentino della merda. E non è finita, perché i Foals ci regalano London Thunder, una disgrazia di brano rubato a Ghost Stories dei Coldplay dove una brutta drum machine accompagna l’intera canzone scolpito da banalità melodiche, sonore e liriche. Da dimenticare totalmente. Per fortuna però che ci arriva in aiuto Snake Oil, perché siamo cresciuti, cazzo. E quello che anni fa ci rispecchiava interamente oggi è solo un vetro crepato che vogliamo lasciare in cantina. Un pezzo potentissimo questo olio di serpente che viaggia a metà tra i Royal Blood e gli ultimi Arctic Monkeys (si ringrazia James Ford in produzione per i cori nel ritornello). E se non siamo ancora contenti (giustamente) c’è Lonely Hunter, nonché IL brano del disco – che stavamo aspettando dai tempi di Bad Habit. James alla chitarra si veste da The Edge, Edwin torna alle tastiera come Dio comanda dopo essersi preso una mezza pausa nell’ultimo album ed insieme agli altri 3 compongono un pezzo delicatissimo dove Yannis è pieno di rimpianti e chiede scusa alla propria amata sperendo che quest’ultima lo perdoni (Tried to get back, oh, I hoped you understand. Just remember, that love is a gun in your hand).

Se Holy Fire non ci era ancora riuscito, What Went Down è il disco che segna definitivamente il passaggio dei Foals da cosiddetta “band indie da far suonare agli house-party” a band capace di tenere testa all’enormi folle dei maggiori festival mondiali. Un lavoro un po’ troppo statico per gli standard dei Foals che rimangono schiavi del tempo che passa troppo velocemente, decidendo di recuperare il gap perso puntando sull’orecchiabilità e sulle melodie pop-oriented, a differenza dei precedenti album (Total Live Forever su tutti) dove originalità e creatività regnavano sovrane.

Traccia consigliata: Lonely Hunter