A due anni di distanza da Loom riecco una delle note liete del panorama musicale britannico e internazionale. I Fear Of Men erano riusciti a ritagliarsi uno spazio considerevole al loro esordio nel 2014, grazie ad un dream pop atipico ed emozionante al tempo stesso. Giunti al loro secondo lavoro, la band ha deciso di cambiare lievemente registro; “we wanted to write an album that would make the stage shake” ha dichiarato Daniel Falvey poco prima dell’uscita di Fall Forever. Ci saranno riusciti?

No, a dire il vero non ci sono riusciti affatto. Fall Forever è un album molto lontano dal creare scompiglio, dal far ballare la folla; se allora giudicassimo il lavoro fatto sulla base di questo criterio, chiaramente si tratterebbe di un lavoro fallimentare. In realtà però Fall Forever è il prosieguo naturale di Loom, e dunque non lo si può di certo considerare un fallimento totale. Vesta ci apre le porte verso questo viaggio di dieci tracce, introducendo subito la piccola-grande differenza rispetto all’LP precedente: l’utilizzo più marcato della manipolazione dei suoni, dell’elettronica. Emerge poi chiaramente in Undine uno degli elementi più riconoscibili del trio, ossia l’uso delle percussioni a mo’ di marcia che accompagna per tutta la durata della canzone la dolce voce di Jess Weiss. Sullo stesso identico stile è Island (canzone fotocopia della precedente), e poco si discosta anche A Memory. A metà album però questa piccola rivoluzione che il gruppo ha annunciato di voler fare non emerge, né tantomeno si sente una preponderanza dell’elemento elettronico nella composizione delle canzoni: in realtà questo elemento esiste solo nella misura di alcuni timidi synth, usati come sfondo (lontano) di alcuni episodi sporadici quali Ruins Trauma. La stessa batteria è alternata all’uso di drum machine, ma comunque non si può esattamente parlare di rivoluzione. L’album è sostanzialmente piatto, lascia un senso di incompletezza e manca di un qualsivoglia elemento in grado di farsi ricordare negli anni; in mezzo a questa pacata mediocrità, va riconosciuta la bellezza dell’artwork, rappresentante il particolare di un abbraccio di due figure indefinite.

Forse la paura di fare un passo troppo grande ha fatto sì che i Fear Of Men rimanessero ancorati al vecchio, senza riuscire a staccarsi dagli unici elementi di certezza che la band aveva. La voce cristallina di Jess rende la pillola meno amara, in un album caratterizzato da una noia poco costruttiva. Il sophomore è sempre l’album più difficile, ma non per questo il trio di Brighton è da cestinare.

Traccia consigliata: Island