Father John Misty, il re dell’ironia e il cantore del cinismo virale degli anni dieci, ha deciso di fare sul serio. Al terzo album solista dopo aver esordito come batterista  dei Fleet Foxes, quella di Josh Tillman è un’evoluzione musicale che ha seguito un percorso ben calibrato: dopo un esordio da talento cantautoriale con Fear Fun, la consacrazione come autore e come personaggio è arrivata col bellissimo I Love You, Honeybear, un album che sapeva essere sia candida lettera d’amore che satira che intrattenimento. In Pure Comedy, invece, Tillman si trova di fronte a delle realtà per cui usare la maschera dell’ironia non vale più, e per snocciolare un album così complesso non bastava una sola persona, quindi abbiamo deciso di trasformare questa recensione in una chiacchierata.

Valerio: Fin dai primi ascolti sembra che Tillman riprenda il filo del discorso dalle atmosfere di Bored In The USA: l’approccio è più dialogico, sempre sarcastico, distaccato e disincantato. La sua trasformazione da rocker prestato al cantautorato si è definitivamente conclusa, la sua dimensione odierna è di crooner contemporaneo. Cosa ne pensi?

Claudia: Pensavo proprio alla stessa cosa. Pure Comedy è un disco molto diverso da Honeybear, eppure sia musicalmente che tematicamente c’è la stessa critica aspra di Bored in the USA e Holy Shit. La sua trasformazione in crooner si sposa bene con il personaggio che Tillman si è creato — il suo ruolo da antieroe postmoderno che personifica ciò su cui sputa con disincanto l’ho sempre trovato molto interessante. In Honeybear però c’era un distacco notevole e, nonostante fosse una (auto)riflessione sempre ben articolata, continuava ad usare l’ironia ancora come scudo e per questo in parte fine a sé stessa, sardonica. Con Pure Comedy sembra che Tillman sia invece venuto a patti con sé stesso e con lo scopo della sua ironia, quasi stanco di questo distacco, e abbia deciso di piegare la scrittura alla critica sociale, cosa che traspare anche nelle musiche…

Valerio: Sicuramente l’attualità gli ha fornito molti molti spunti (brexit, elezioni USA, ecc.), avrei voluto scrivere io stesso Total Entertainment Forever dopo aver osservato (sempre con cinico distacco) tre colleghe totalmente obnubilate dalla realtà virtuale al Fuorisalone. Diciamo che il gusto della melodia non l’ha smarrito, anzi, Ballad Of A Dying Man per dire, è uno dei brani più catchy nel carniere di Tillman. I problemi sorgono con i pezzi più articolati che a volte, pur se ben prodotti, sfociano nel prolisso.

Claudia: Secondo me anche sotto quel punto di vista è molto complesso. Pure Comedy è un disco molto lungo per gli standard di oggi, che rende più facile apprezzare i singoli pezzi che i 74 minuti. Non ha pezzi brutti, perfino la prolissa Leaving LA – 13 minuti senza ritornello, un dito medio alla radio e all’intrattenimento da tre minuti e mezzo – ha il suo perché: il genio di Tillman è critica ma è anche autocritica, e fare una canzone da dieci versi è il suo modo di fare protest music. Quanto è meta dire “Another white guy in 2017 who takes himself so goddamn seriously”?! (E quanto ti para il culo dalle critiche?!) Però è giusto così — preferisco che queste analisi le faccia Tillman, da insider, con tutte le contraddizioni del caso, piuttosto che un metallaro sessantenne che si lamenta dei social media senza averne le capacità critiche o l’esperienza. È un album che mette in primo piano i testi, ma ho trovato interessante il modo in cui la produzione e gli arrangiamenti si piegano alle parole. Che ne pensi?

Valerio: Assolutamente d’accordo. Mi sbilancio e dico che è l’aspetto più riuscito del lavoro, forse della carriera. Recentemente ha dichiarato che per lui l’intrattenimento è qualcosa che tende a fare assopire e dimenticare ciò che è importante al pubblico, mentre l’arte suscita proprio l’effetto opposto.  Questa dicotomia intrattenitore/cazzeggiatore seriale nelle public relations e crooner impegnato politicamente nella scrittura rende ancora più surreale per certi versi l’ascolto di brani come Two Wildly Different Perspectives o Things It Would Be Helpful to Know Before the Revolution . A differenza del metallaro, il Nostro riesce a non prendersi troppo sul serio e al contempo a proporre un album pop dalle atmosfere tipicamente 70s, radiofonicamente quasi improponibile, a differenza di Tobias Jesso Jr., che pur facendo il verso a Newman, Lennon e compagnia bella, aveva sfornato qualcosa di estremamente appetibile al grande pubblico. Tillman a questi elementi aggiunge la classe di un Jackson Browne, di un Elton John. Forse sotto sotto non si sente ancora pronto per un ulteriore salto in visibilità, come testimoniato dalla notizia di un suo rifiuto per la seconda stagione di Stranger Things  e del suo permanere in Subpop. A questo punto devo chiederti quali sono i tuoi brani preferiti!

Claudia: È proprio quella dicotomia che rende l’artista/personaggio più credibile e tridimensionale, e secondo me il passo definitivo al mainstream rischierebbe di sciogliere l’enigma che è J. Tillman. E se musicalmente il paragone a Tobias Jesso è legittimo, qui si va al di là dell’album intimista e si finisce col paragonarlo all’ambizione di un Kendrick Lamar o di un Patrick Stickles (Titus Andronicus). Ma passiamo ai brani preferiti. Pure Comedy mi ha colpita da subito: la pomposità dell’arrangiamento sembra evidenziare ancor di più la farsa della società contemporanea (“And how’s this for irony, their idea of being free is a prison of beliefs that they never ever have to leave”). Mi piace come Total Entertainment Forever critichi e faccia al contempo intrattenimento (“In the New Age we’ll all be entertained / rich or poor, the channels are all the same”). Poi adoro l’outro di So I’m Growing Old on Magic Mountain. I tuoi?

Valerio: Adoro tutta I’m Growing Old on Magic Mountain! Poi non mi dispiace per nulla A Bigger Paper Bag e ti rinnovo il mio apprezzamento per Two Wildly Different Perspectives. Ho scelto questi brani non a caso, proprio per elogiare la scelta coraggiosa dell’autore di non reiterare quanto (di buono) fatto in precedenza. A tal proposito ti chiedo quali potrebbero essere i futuri risvolti nella carriera di Father John Misty. A me non dispiacerebbe per nulla una sua svolta melodica, sulla scia di Real Love Baby, che nella sua semplicità e orecchiabilità, potrebbe ampliare a dismisura il suo bacino di ascoltatori che in Italia è ancora potenzialmente espandibile, mentre altrove ha abbondantemente superato quello dei Fleet Foxes.

Claudia: sono curiosa anch’io. Da un album come Pure Comedy non si esce facilmente, ma credo che l’imprevedibilità sia la miglior carta vincente del Nostro (perfino le “generic pop songs” di qualche tempo fa mi sono piaciute). Però dietro a tutta la misantropia, a tutto il cinismo di J. Tillman, si nasconde un’ultima speranza nei confronti dell’umanità; questo lato empatico è quel che vorrei vedere ancor più sviluppato nei prossimi lavori—il lato di un Father John Misty che, sul finale di una canzone misantropa e apocalittica come Pure Comedy, chiude con niente di più semplice che “each other’s all we got”.

Intro & recensione realizzata assieme a Claudia Viggiano (no, nella vita reale non parliamo così, per fortuna)