“This is a story as sad as it is stupid” è la definizione con cui Josh Tillman apre il brano Mr. Tillman al Primavera Sound di Barcellona: la storia di un crollo esistenziale e di una crisi familiare raccontata dal punto di vista di un concierge dell’albergo in cui Father John Misty ha vissuto per due mesi e che ha dato vita a God’s Favorite Customer. Una definizione che a guardar bene racchiude un grande topos ricorrente nel disco: il culto autoindulgente della personalità di Father John Misty è sceso alla fase dell’autodenigrazione, con un quarto album più personale che mai.

La firma di Tillman è sempre quella cinica capace di raccontare situazioni surreali e intavolare scenari romanzeschi, ma se in I Love You, Honeybear l’ironia stemperava il pericolo di stucchevolezza di una lunga dichiarazione d’amore, Pure Comedy invece inaspriva quel cinismo rivolgendolo al mondo attorno a sé, raccontandolo in brani complessi e impegnati. In God’s Favorite Customer la vena da crooner e la ricchezza degli arrangiamenti di Pure Comedy continuano ad essere presenti; a cambiare è il formato della canzone, che qui si fa più diretta, apparentemente più spontanea, e liricamente meno ambiziosa. È un album ricco di ballate al cui centro c’è spesso il piano – quello scarno e solitario di The Palace e The Songwriter o quello annegato nell’elegante produzione di Just Dumb Enough to Try – ma dove anche le chitarre, soprattutto quelle graziosamente distorte, guidano l’ascoltatore oltre il crooning (Disappointing Diamonds Are the Rarest of Them All). E sebbene fiati e archi siano ancora presenti (in Hangout at the Gallows la mano è addirittura quella di The Haxan Cloak) e gli ospiti non manchino (Weyes Blood nell’eponima God’s Favorite Customer) la direzione sembra essersi leggermente rimpicciolita quasi per dare precedenza ai toni più intimi dell’album.

È innegabile che l’atteggiamento di Tillman verso il personaggio Father John Misty sia sempre stato ambiguo: il cinismo e l’autocritica non facevano che irrobustire la figura da ladiesman, e a Tillman in fondo stava bene così, perché c’era la consapevolezza. Durante gli eventi raccontati nell’album cade quasi a pezzi il personaggio; nei due mesi di droga e isolamento una ritrovata vulnerabilità riecheggia nell’incertezza esistenziale di brani come Just Dumb Enough to Try (“you can take what I know about love and drown it in the sink”) e We’re Only People (“we know so little about ourselves / but just enough to wanna be nearly anybody else”). È certamente una vulnerabilità che deriva da un rapporto incrinato con la moglie Emma Garr, già sua musa in I Love You, Honeybear e qui spesso invocata da lontano (“Last night I texted your iPhone and said I think I’m ready to come home” in The Palace), con tanto di problematizzazione della figura di musa stessa, sfruttata in modo artistico e quasi snaturata nel processo (“What would it sound like if you were the songwriter / and loving me was your unsung masterpiece?” in The Songwriter).

God’s Favorite Customer compie un passo importante nel mostrare il lato umano e autentico nascosto dietro al personaggio Father John Misty; la cifra stilistica rimane la stessa, ma la persona cambia. J. Tillman restringe la visuale musicale e lirica per concentrarsi su se stesso, e facendolo ridimensiona anche il suo personaggio: “Does everybody have to be the greatest story ever told?” Sicuramente no, ché anche le storie minori meritano di essere raccontate.

Tracce consigliate: Just Dumb Enough to Try, The Palace