Nero, nero che più nero non si può. Non è una banale battuta a sfondo razziale di provenienza leghista. E’ il colore, l’immagine, la sensazione che il debutto del piccolo Earl trasmette. Sul contrasto tra estetica e sound del mondo Odd Future s’è già discusso. Magliette con gattini tutte colorate felici con le ciambelline rosa che poi si scontrano con il suono oppressivo dei beat sui uali Tyler e i suoi amici rovesciano versi. Tyler nel sophomore Wolf ha continuato a trattare i temi personali che lo tormentano, il principale: l’assenza di un padre.

Ogni tanto nell’album uscivano pezzi più leggeri – come Domo 23– qua in Doris non c’è via d’uscita. Il rap di Earl è monocorde non c’è accento o enfasi. Nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe un aspetto negativo per un rapper, per Earl no, è un punto in più, spinge ancora più in profondità con le parole. E’ il rap di un piccolo burattino tipo quelli per bambini, ti spunta di fronte, apre e chiude solo le labbra, gli occhi non ti comunicano nulla. E’ tutto buio.

Parecchio buio, si può rappresentare in maniera astratta la presenza dei versi delle tracce di Doris come la spia rossa della Tv in standby nella camera da letto mentre si sta stesi, stanchi, a pensare, a non pensare con gli occhi sbarrati nel cuore della notte. È l’unico punto di riferimento nella stanza priva di luce. Tutto ciò spiazza perché proviene da un ragazzo di 19 anni. A 19 anni pubblica un album pesante (accezione positiva) come Doris, ma già dal 2009 era attivo nella scena dentro e fuori la OF, nel 2010 rilasciò un mixtape (Earl). Nel mezzo di queste uscite discografiche è stato mandato nelle isole Samoa per una specie di riabilitazione per studenti a rischio, roba del genere. Le tracce in particolare meritano attenzione per le rime, un modo di scrivere da James Joyce del ghetto, il sound rientra a pieno negli stilemi della OF, può risultare nuovo solo a ascoltatori estranei totalmente a questa crew. Gente che non ha neanche mai sentito Yonkers (per voi altri spero non sia l’unica che conosciate).

Burgundy, porta all’inzio grazie a Vince Staples il motivo che farà staccare questo disco prima della fine ad alcuni di voi che lo metteranno in play. What’s up, nigga? Why you so depressed and sad all the time like a little bitch?/What’s the problem man? Niggas want to hear you rap
Don’t nobody care about how you feel.
  È un brano di presentazione e di scuse nel caso il modo di fare di Sweatshirt non piaccia. Lui non ci può far nulla. Sta soltanto raccontando se stesso.

Sunday merita l’ascolto per il feat con Frank Ocean e dopo questo inizio arriva Hive – uno dei singoli – e il pezzone dell’album- Chum– quello che mi ha offerto, anche grazie al video l’immaginario per capire Doris. Un pezzo che ho ascoltato e riascoltato alle ore più assurde. E’ “Earl at his best” come si potrebbe dire. Il verso che rimane scolpito a mo’ di epitaffio è Too black for the white kids and too white for the blacks – che in un secondo mi ha creato un collegamento empatico con I have no right to take place in the human race (The SmithsBigmouth Strikes Again). Altre anticipazioni o spunti che mi faranno dare il voto che leggerete sotto – che non dovrà far prescindere il vostro ascolto di Doris – sono la traccia che più, per quanto poco, si distanzia dai bassi scuri e le percussioni filtrare è Molasses con RZA, un black kid “ammodo” (Wu Tang Clan) che porta con sé lo stile della crew di quel capolavoro di 36 Chambers. Ultimo aperitivo prima di scartare la mattonata di Earl è il secondo featuring con il fratellone Tyler The Creator, Whoa, l’unico pezzo che apre solo di qualche millimetro la porta della camera da letto buia di tutto Doris.
Quest’album è emotional-rap, esiste? Non lo so. Esiste ora e ha un nome. Earl Sweatshirt.

Tracce consigliate: Burgundy, Chum