Premessa: con l’arrivo dei trentanni o più e della fantomatica età adulta (non che a 28 o prima si sia meno adulti, è più la percezione dell’esserlo) spesso si incontra una crisi. Questa crisi è stata affrontata da tutta una serie di artisti (quindi anche musicisti) in modi differenti, con approcci traumatici, regressioni repentine, invecchiamenti rapidissimi. A questa folta schiera di traduttori di sensazioni – che sono poi gli artisti – si aggiunge Cosmo, al secolo Marco Jacopo Bianchi, al suo secondo disco solista dopo il progetto Drink to me.

Il momento per Cosmo è esattamente quello: dal poco ordine di Disordine (scusate, ma è così) Cosmo è cresciuto, ha avuto il suo secondo figlio, e ha ormai 34 anni. L’ultima festa è una reazione forte a chi vorrebbe delle criticità, è un disco aconflittuale, se non col concetto che davvero ci sia bisogno del conflitto o della tristezza per riempire un disco. Il tono generale non è allegro di per sé: si può parlare più di serenità che di allegria. Nel disco la musica elettronica si abbraccia con un pop cantautorale creando dei contrasti unicamente musicali, e sinceramente una musica che allo stesso tempo colpisca il ventre facendo ballare e la testa facendo ascoltare i testi non si trova tutti i giorni.

Cosmo ci spiega la sua crisi dei trentanni che non è assolutamente una crisi già nella prima traccia Le voci, in cui ironizza sul presunto trauma che avrebbe dovuto affrontare come persona e come musicista: “Dottore / chiamate un dottore / qui c’è un ragazzo che muore affogato nella palude del nazionalpopolare / in realtà sto scherzando / era così per dire / lasciamo stare / non mi lamento affatto / non voglio scappare / in realtà qui non è niente male / passo giornate a suonare”, con il suono che si trasforma verso il quarto minuto per abbracciare l’anima più dancereccia dell’album. Segue L’ultima festa, title-track, che non è affatto l’ultima festa, la festa finisce e Cosmo va da un’altra parte senza lamentarsene – ci saranno altre feste altrove no? Quando il tono poi non è allegro il disco assume tratti intimistici e privati, come nei pezzi in cui si sentono le ombre dei genitori di Marco Jacopo Bianchi, Dicembre e Regata 70, penultima traccia dagli oscillatori dolcemente stonati e atmosfere onirico-edipiche. In pezzi come L’altro mondo si sente, forse dovuto alla voce massiccia di synth degli anni ’80, la presenza di rimandi a gruppi come gli M83, ma non è un disco dall’anima nostalgica come Junk, è ultracontemporaneo: i revival dei suoni analogici del passato ormai sono sintomi della contemporaneità musicale, e sarebbe sbagliato dire che L’ultima festa sia un disco fuori tempo.
L’impressione che si ricava dalla forte contrapposizione tra la struttura e la produzione dance del disco e i testi coi vocalizzi e i ritornelli assolutamente pop è quella di un lavoro completamente inserito nell’oggi, che assimila i ritmi e le suggestioni dell’elettronica, vi cerca la spensieratezza (la festa, appunto) e la inserisce nel cantautorato nostrano, in cui è un po’ assente. Quando sembra che la formula pop+musica elettronica ballabile stia un po’ venendo a noia (L’impossibile) L’ultima festa si rialza con il trittico finale. Cazzate, perfetto singolo, è l’autoesortazione a smetterla con le seghe mentali inutili, con il testo che si adagia (si fa per dire) su una base che ricorda vagamente i Moderat; poi c’è la già citata Regata 70 (forse il pezzo migliore dell’album) e chiude con la tenerezza che rimbalza sui bassi di Un lunedì di festa che, se necessario, rimarca la posizione di Cosmo riguardo tutto il disco: se si fa festa di lunedì, davvero la festa è finita? È finita la giovinezza? E allora? “È stato il luglio più caldo della mia vita / l’estate passa / in fondo son contento sia finita” diceva già nel primo brano.

L’ultima festa quindi è un disco sereno, di superamento e non di conflitto. Si costituisce gradualmente di tutti i mattoni che costituiscono l’esperienza di Marco Jacopo Bianchi, senza rinnegare niente, si basa sul passato ma con la consapevolezza della propria vita che prosegue, in un continuum di linee sonore concentriche che partono dagli anni ’80 (Marco Jacopo Bianchi è dell’82) e si congiungono esattamente nel punto L’ultima festa. Cosmo non rinuncia a niente e sintetizza anime diverse nel disco con grande maestria.

Tracce consigliate: Cazzate, Regata 70