Lo scorso anno sono finita in Cina. In due settimane a caccia nei club di Shanghai, oltre alle innumerevoli performance in cacofonico mandarino su stridule basi MIDI, tutto ciò che ho rimediato è stata una rassegna di band sedicenti alternative, caratterizzate da un insipido comun denominatore devoto all’Occidente, che si distinguevano tra loro solo nella scelta tra un cantato in pessimo inglese e un più dignitoso strumentale. Ammesso che esista una matrice tradizionale a cui far riferimento, le odierne espressioni musicali cinesi sembravano fregarsene della Cina. Il fatto mi portò a una riflessione confortante sullo stato di salute della musica italiana: a dispetto del generale atteggiamento di insoddisfazione che i più manifestano (e in buona parte forse ostentano), la signora in questione se la passa benone. Col suo solido background, se la cava egregiamente sia quando si lascia ammaliare da tentazioni sonore estere che quando si manifesta nella sua veste più consueta, che per una lingua tanto musicale come la nostra non avrebbe potuto essere altro che il cantautorato. É perciò un gran sollievo quando qualcuno tra i contemporanei si dimostra particolarmente bravo sia nel mettere in fila le parole che nello scegliere i suoni migliori per accoglierle.

Del fatto che fosse dotato di una sottile capacità di traduzione del quotidiano in metafore mai banali ne’ barocche Lorenzo Urciullo ci aveva già convinti tre anni fa, con quel Un meraviglioso declino a cui però alcuni rimproverarono una carenza di mordente e una certa prudenza negli arrangiamenti. Poi a novembre dello scorso anno spunta fuori un primo singolo che ne annuncia il sequel: di Maledetti Italiani si apprezza una ironia che prima di allora Colapesce non ci aveva concesso. Infine, poco prima della release di Egomostro, la title track dimostra che Lorenzo è pronto a parlare di sé con lo stesso sarcasmo, e a farlo comodamente adagiato su un sound inaspettatamente 70’s che fa ben sperare in qualche sorpresa.

Sono sufficienti un paio di ascolti per dover ammettere che in Egomostro non ci sono veri e propri punti deboli. Aprendosi alle possibilità dell’elettronica, il cantautore siciliano confeziona brani che difficilmente passano inosservati, vuoi per i motivetti efficaci, vuoi per i giochi di parole lucidi e suggestivi. Dopo un esordio con cui bruciò più di una tappa, stavolta si concede tutto il tempo necessario e l’ausilio di una produzione sapiente, limando ogni spigolo e facendosi trovare armato di tutto punto quando giunge il momento fatidico del secondo album. Lo affronta in un viaggio di quattordici tracce che coinvolge con facilità sebbene nasca e si concluda dichiarandosi estremamente personale: Entra pure ed Esci pure, un unico brano spezzato a metà che inaugura una impresa che comporterà qualche doloretto (dentro la bocca dell’Io estraggo il dente) ma che nei limiti del possibile avrà un lieto fine (con un leggero malessere riconquistiamo la bellezza).
Con la tripletta che segue l’intro si palesa definitivo un fil rouge di pura razza sicula, che parte da Franco Battiato e passa per Max Gazzè (nelle dosi massicce di chitarre in Dopo il Diluvio sembra quasi di ritrovare l’energia del Max degli esordi in Contro un’onda del mare), dipanandosi in arrangiamenti curati e capaci di virate accattivanti. Non mancano quindi episodi certamente più incisivi che in passato, anche se ancora una volta la poetica ruota essenzialmente intorno alle dinamiche amorose 2.0, su ritmi composti ma estremamente catchy (Reale, Le vacanze intelligenti) e ballad dai malinconici fiati appena accennati (Sold Out).

Piacevolmente retrò, come lo è stato l’esordio dei Thegiornalisti dello scorso anno, ma con l’indole pacata di uno stile che si fa sempre più riconoscibile, soffuso e sussurrato anche tra le abbondanti dosi di synth. Pulito, scorrevole eppure ricco di accortezze sonore, che é quello che abbiamo apprezzato di Damon Albarn in Everyday Robots. Alla necessità di esorcizzare un egomostro che tutti faremmo bene a temere, Colapesce risponde con un lavoro maturo, consapevole delle tendenze dentro e fuori i confini nazionali e in grado di piegarle ai propri intenti di cantautore e di italiano.
Via, io la sparo: col suo equilibrio tra passato e futuro del pop nostrano, Egomostro é un disco che ha le carte in regola per farsi tradizione. Così tra vent’anni non verrete a dirmi che non vi avevo avvisato.

Tracce consigliate: Dopo il diluvio, Mai vista