Coez ci ha insegnato nella sua carriera ormai ultradecennale che non può stare fermo, la chiave di volta del suo percorso è la dinamicità. Ma al tempo stesso questa dinamicità pare sia giunta in un percorso circolare, che per forza di cose si incanala su terreni sondati precedentemente. Come un giro sulle montagne russe, in cui nei primi secondi provi tutto quello che c’è da provare in seguito ai giri della morte, avvitamenti e via dicendo, per poi ripassare dalla partenza e riaffrontare immediatamente le stesse evoluzioni: ma a quel punto il tuo stomaco è più fermo, controlli meglio la respirazione quando i binari ti sparano giù in picchiata, insomma, hai una consapevolezza maggiore di quel che devi fare.

Ora, uscendo dal luna park, pare proprio che Coez con Faccio un casino abbia raggiunto lo stesso: uno stadio di consapevolezza molto convincente.

Il nuovo album del rapper/cantautore romano è infatti un insieme di passi indietro nel tempo e passi in avanti che sommati si equilibrano, e con questo voglio dire, in sostanza, che Coez più che in altre occasioni sia riuscito a gestire la commistione del suo passato remoto da rapper con il suo passato prossimo e presente da cantautore indie pop. Anche se tra le due personalità, a spiccare è senza dubbio la seconda. Questo fondamentalmente per due motivi: la scissione con Carosello Records e la collaborazione di Niccolò Contessa.

La svolta pop di Coez è arrivata con Non erano fiori (2013) e Niente che non va (2015), album usciti per Carosello, in cui si sentiva il lavoro forte di Riccardo Sinigallia in cabina di produzione. Senza dubbio una realtà discografica così ingombrante come Carosello pone dei limiti alla libertà dell’autore, paletti che invece sono stati rimossi ora nel nuovo lavoro da Coez, perché come detto, l’ultimo disco non presenta più la nota etichetta, ma è autoprodotto, con la sola collaborazione dei tipi di Undamento soprattutto per le questioni legate alla distribuzione. Insomma, si tratta di un disco libero, selfmade, che ha restituito a Coez la possibilità di rendere più fluido il prodotto, facendo riemergere con più insistenza la componente rap e soprattutto quel quid che siamo soliti riconoscere con l’espressione “fatto di pancia”: in Faccio un casino c’è in sostanza meno geometria rispetto alle costruzioni dei due dischi precedenti. Ma va detto che in questa libertà talvolta affiorano comunque forzature, geometrie appunto, che magari (guarda tu il karma!) i divieti di un’etichetta avrebbero repulso: ciò avviene soprattutto quando Coez inizia a rappare in un certo modo: un modo in cui sembra voler dire troppo esplicitamente che in lui sussiste ancora la vena delle origini. Tale atteggiamento può riscontrarsi bene in Occhiali scuri, potente feat. con Gemitaiz, in cui addirittura si riecheggiano i Run The Jewels e che ecco, insomma, nell’economia del disco appare come una costruzione un po’ troppo artificiosa, un messaggio subdolo all’ascoltatore piuttosto che un pezzo sincero. Tra i featuring, trovano più aderenza nel totale delle dodici tracce invece Un sorso d’Ipa e Taciturnal, collaborazioni con Lucci e Gemello, tra l’altro quest’ultima proposta anche come singolo.

La soluzione è vincente quando, come in Parquet (sebbene sia prodotta da Sine del Truceklan), la componente hip-hop riesce ad integrarsi e fondersi senza troppo stacco alle sonorità più pop, più indie, e quindi con il “passo in avanti” che Coez ha apportato in questo disco, ovvero il sodalizio con Niccolò Contessa. Infatti, se da una parte la novità non è più il Coez indie pop, dall’altra è assolutamente fresco il Coez che si inserisce nell’indie pop nella fattispecie marchiato Contessa. Sono efficaci e convincenti tracce come il primo singolo eponimo Faccio un casino, La musica non c’è, Delusa da me, in cui più che altrove si sente la presenza de I cani, sia nelle basi, che nei testi, che nella voce: spesso Coez somiglia molto a Contessa, il che genera un piacevole straniamento. Insomma, in Faccio un casino Coez mette in scena un dialogo, tagliando e costruendo ponti, tra il suo presente e passato, ed anche un pezzettino di futuro, forse. Un dialogo temporale anche pieno di rimandi: per esempio Faccio un casino parte laddove partiva, nel 2011, un altro lavoro di Coez, intitolato Fenomeno Mixtape:

Ho un piccolo disturbo bipolare

Così attacca Still fenomeno, prima traccia del nuovo disco, praticamente un calco nella base, nella metrica e nell’incipit di Intro fenomeno, apertura del mixtape uscito ormai sei anni fa per Honiro Label.

Un dialogo col tempo è anche la copertina, in cui c’è quel bambino in grado di fare un casino qualora le cose non dovessero andare come dovrebbero, quel bambino che “da piccolo ha distrutto un bilocale”, e che nel video di Faccio un casino, guarda caso, da grande si trova alle prese nello smontare e rimontare l’arredo di un appartamento.

Faccio un casino è un dialogo sincero perché libero, senza filtri, in cui non mancano sbavature, per carità, qualche balbettio nel tessuto del discorso c’è, però nel complesso la versatilità – talvolta imbizzarrita – vince, risulta coinvolgente e gradevole, convincente. Coez è riuscito a dialogare e confrontarsi privo di schermi con se stesso, con le tappe della sua vita di uomo e di artista, e con questo disco ci ha comunicato che ha raggiunto, sommando queste fasi, un importante stato di consapevolezza.

Tracce consigliate: Faccio Un Casino, La Musica Non C’è