Iniziare la recensione di questo disco parlando di James Blake sarebbe scontato, banale, e non darebbe giustizia al valore artistico di Chet Faker (al secolo Nicholas James Murphy). Ma è un po’ come se lo avessi fatto.
Nicholas, seppur lontano geograficamente dal nostro inglesino, è riuscito ad ergersi dalla terra dei canguri come stella nascente e next-big-thing di tutto ciò che al mondo, da qualche anno a questa parte, viene definito post- (e le etichette si sprecano: jazzypop, elettronica, poprock, barba).
La forza maggiore dell’EP di debutto di Chet Faker, il bellissimo Thinking In Textures, è stata forse la sua possibilità di essere trasposto live in almeno dieci salse diverse: tutto alle macchine con piglio dance, tutto suonato e prettamente da ascolto ecc. Tra un set in Boiler Room e numerose collaborazioni con l’amico e connazionale Flume, eccolo giunto alla resa dei conti discografica.

Dati i presupposti e i trascorsi, le aspettative per il debutto lungo del barbuto dalla voce calda erano alquanto elevate e, allo stesso tempo e stranamente, nessuno poteva dirsi certo della direzione che Chet avrebbe preso.
In Built On Glass convivono tutte le esperienze passate dell’artista con la felice aggiunta di un qualcosa in più. Nella prima metà dell’album sono condensati i potenziali singoloni, trainati da Talk Is Cheap che effettivamente singolo lo è stato, ma che a conti fatti non vanta poi tanta superiorità rispetto a Gold e To Me, gioiellini dall’andamento sensualissimo, e al contempo delicato, infarciti di ritornelli killer. Anche la più elettronica Melt (feat. Kilo Kish) non delude le aspettative. Nel secondo lotto ritroviamo una tripletta di pezzi lunghi che sforano la soglia del passaggio radio: la danzereccia 1998, Cigarettes & Loneliness che si costruisce sulla contrapposizione minimale chitarra/drummachine e infine i fiati sghembi della jazzy e cadenzata Lesson In Patience. Dead Body, con una classica chitarra blues-rock, chiude tutto nella tranquillità più totale.
Nei piccoli interstizi lasciati qua e là ritroviamo tracce di passaggio molto significative in quanto simbolo e coronamento della maturità di Chet e di Built On Glass stesso. Parliamo della quasi totalmente strumentale Blush, preceduta dai 19 secondi di /, di Release Your Problems (intro del disco) e No Advice (Airport Version), tutte disposte nella tracklist in maniera oculata e intelligente.
Un lavoro così presentato potrebbe sembrare se non proprio dissonante quanto meno sconnesso. In realtà i diversi territori esplorati sono tutti collegati da un sentiero sicuro e ben consolidato. Il timbro caldo della voce e un organetto intimo pervadono ogni pezzo, il ritmo è scandito da drum mai troppo invadenti e ogni suono è studiato nei minimi particolari senza essere fuori luogo; tutto è arricchito a volte da una chitarra, altre da controcanti, altre ancora da fiati, sino ad arrivare a momenti scarni e minimali.
I testi narrano la ricerca di intimità amorosa, sentimenti non corrisposti, solitudine, delusioni, e sono l’ennesima prova di quanto Built On Glass sia un album personale e sentito, sincero.

Chet Faker racchiude nel disco tutto il suo talento compositivo mischiando sentimenti amari a melodie dolci, suoni rassicuranti ad atmosfere delicate.
Built On Glass ha il grande pregio di poter suonare fresco e riflessivo allo stesso tempo, coerente al suo interno ma anche con il passato di Nicholas (sia musicale che, evidentemente, vissuto).
Pur non essendo un album studiato a tavolino per essere trendy tutto fa presupporre che lo diventerà presto (con i pro e i contro del caso), riuscendo ad accontentare proprio tutti.

Tracce consigliate: To Me, Cigarette & Loneliness, Gold.