Uno dei dati più interessanti da rilevare sul palese sdoganamento della cultura e musica (post) industriale, è forse quello che vede gran parte degli animatori di questa scena negli anni ’10 come rappresentanti del gentil sesso. Puce Mary, Pharmakon, BRUT, Youth Code; tutte queste signorine, chi più chi meno, insieme ad altri nomi minori hanno raggiunto i media mainstream e hanno mietuto e mietono consensi quanto e più dei colleghi maschi. Non che la presenza femminile sia una novità nell’ambito, anzi tutt’altro: si tratta in verità di una tendenza che non solo è rimasta costante ma si è forse rafforzata. È poi un fatto (per i profani) curioso se si pensa poi che spesso l’arte prodotta è quanto di più violento in circolazione; assistere a uno show della succitata Pharmakon per credere.
Chelsea Wolfe fa testo a sé, almeno in parte: giocando sull’alternante equilibrio fra il versante “gotico”
e quello più rumoristico, ha dato alle stampe in pochi anni una manciata di album dei quali almeno due decisamente importanti per gli sviluppi ultimi della scena post-industrial (si noti che parlo comunque di quella porzione  di scena che ha deciso/si è ritrovata accessibile a un pubblico vasto, mainstream); Apokalypsis e Pain Is Beauty civettano con atmosfere a tratti indie rock, a tratti dark ambient senza dimenticare i necessari momenti di caos.
Abyss è il nome del nuovo album e raramente titolo fu più appropriato: già dal primo ascolto ci si rende conto di come questo sia fuor di dubbio il lavoro più abrasivo dell’artista di Sacramento. Vengono ridotte le diramazioni folk, rock e ambient in favore di un approccio radicale. E, ma non credo serva davvero dirlo, anche quando il suono non esplode violento, rimane in sottofondo un profondissimo tormento. La copertina stessa richiama la tematica centrale dietro l’idea dell’album, ovvero le spaventose paralisi ipnagogiche. Il corpo è giacente e intrappolato, incapace di reagire, come in un abisso.
Carrion Flowers, primo singolo e primo video, è già un manifesto eloquente. Distorsioni su distorsioni, una voce cantata che viene da lontano e un continuo picchiare sulle orecchie dell’ascoltatore. Il video, buona co-realizzazione di Chelsea stessa con il collega e produttore Ben Chisholm, alterna grevi suggestioni elett(ron)iche, la natura arida della California, il fuoco e la sensualità della protagonista, qui accentuata nella sua morbosità. La successiva Iron Moon, altrettanto e più cruda, potrebbe essere una collaborazione dei migliori Black Sabbath con i peggiori Electric Wizard; le brevi parentesi di pace apparente non smorzano l’estremismo dominante.
Parte importantissima dell’economia di questo nuovo album è da attribuirsi alla presenza del chitarrista dei Russian Circles, Mike Sullivan. Sono sue le bordate che affiorano in Carrion Flowers e sempre suo il lavoro di chitarra cacofonico in Color of Blood o ancora sempre suoi i sottili ricami nell’atipica (questa volta) Simple Death. Come detto c’è poco spazio per le atmosfere rarefatte ma quando gli viene lasciato gioco, non passano inosservate. Simple Death sembra venire da uno dei vecchi lavori di Chelsea Wolfe e fa parte di quel delicato, cupo gruppo di tracce che viene piazzato nella seconda metà dell’album: fra i momenti schiacciasassi di una After the Fall e la violenza della sei corde della già citata Color of Blood c’è anche spazio per un classico brano folk strimpellato come è Crazy Love o per l’ambient minimale di Survive, salvo vederne il terribile, spaventoso risveglio in coda, negli ultimi due minuti.
La viola torturata di The Abyss è tra gli ultimi suoni udibili dell’album e lascia un senso di stordimento, una chiusura dolorosa, una pugnalata.

Abyss prende una direzione diversa rispetto al passato e potrebbe lasciare delusi i fan della Chelsea Wolfe più lasciva, accantonata per lasciar esplodere la turpitudine drone dell’abisso. Rimane comunque un album largamente sopra la media, ispirato e forte, assoluta coerente e crudele realizzazione della mente dietro le quinte.

Tracce consigliate: The Abyss, Iron Moon.