81jE3I9DSXL._SL1500_Etichetta: Sub Pop
Anno: 2013

Simile a:
Css – Cansei de Ser Sexy
Le Tigre – Le Tigre
Little Boots – Hands

Partiamo con una domanda. Qualcuno l’avrebbe mai detto, nel 2006, che 7 anni dopo le Cansei De Ser Sexy sarebbero state ancora attive, arrivando a pubblicare addirittura quattro album? Io no di certo.

Le Css al tempo avevano attorno l’attenzione e l’eccitazione che deriva da quella sorta di fascino dell’effimero da cui tutti, in certi frangenti, ci facciamo conquistare, erano uno di quei fenomeni destinati ad incarnare il qui e l’ora con una grande fiammata, che dopo aver abbagliato può al massimo creare un solco da seguire per eventuali gruppi di emuli, lasciandosi dietro un ricordo a metà fra il mitico e l’incredibilmente sovrastimato. E sicuramente le Css sarebbero state un esempio perfetto di questo fenomeno, se si fossero fermate al primo album.

Perché con quell’album, in effetti, le Css erano riuscite perfettamente a diventare l’impersonificazione dello spirito giusto, al momento giusto: un ancora vivo punk-funk, mischiato a non ancora inflazionati suoni 8-bit, inni capaci di segnare l’immaginario proto-hipster del tempo (“Let’s make love and listen Death From Above!”), lanciati grazie a un uso magistrale dei primi social network (Fotolog e Myspace), e, in più, un ostentato dilettantismo bilanciato da una grande carica in scena.

Ma il tempismo perfetto (leggi anche: culo) puoi averlo una volta, molto più difficile è mantenerlo nel tempo: già in Donkey 2008, si notava qualche incrinatura, e da lì le cose non sono che peggiorate, fino all’abbandono del batterista nonché compositore nonché unico membro musicalmente talentuoso, Adriano Cintra, per “evidenti incapacità musicali delle altre componenti del gruppo, che non sanno nemmeno suonare i loro strumenti”.

Visti i presupposti, non meraviglia il fatto che se anche Planta fosse un inno, lo sarebbe all’inutilità: un po’ di electro pop che scorre senza lasciare ricordi (Honey, Into The Sun, The Hangout), basette dubstep che bè come non concedersele nel 2013 (Sweet), una roba che sembra Round Round delle Sugababes (Too Hot), un pezzo salvabile, questa volta in territori post-punk, come Dynamite, tante altre cose che invitano allo skip più che all’ascolto. E beffa finale, il singolo: Hangover.

Nel primo album c’era un pezzo, non dei più famosi, che però mi incuriosiva tantissimo, chiamato Alcohol. Mi incuriosiva perché sembrava tradurre molto fedelmente la sensazione di una sbronza in musica: una canzone allegra, sempre sul punto di cadere ma che non si sa come arrivava alla fine in piedi. Hangover potrebbe essere il suo naturale proseguimento, non solo per il titolo, ma perché anche in questo caso il titolo è reso perfettamente: una senso di fastidio persistente, di suoni e rumori che non dovrebbero stare insieme, unito a una forte impazienza di arrivarci in fondo. Una cosa che quasi fa venire voglia di vederci dietro un qualcosa di concettuale e di pensato, ma una volta che, proseguendo l’ascolto dell’album, ci si rende conto che di pensato non c’è proprio nient’altro, ci si rassegna e si accetta anche questa per quello che è: una canzone irritante, figlia di un album deludente.

Reccomended Track: Dynamite