Sei anni sono passati dall’ultimo There Is No Enemy. Come mi ricorda la solerte Wikipedia, quello uscì su profilo MySpace. Incredibile, MySpace.
Un applauso di incoraggiamento quindi ai Built to Spill. Dell’applauso di incoraggiamento  comunque non hanno bisogno visto che sono veri e propri veterani, nome importantissimo della scena indie rock anni 90; inizialmente rasentanti i confini dell’emo di quel decennio e poi via via sempre più orientati verso un sound assolutamente personale. Sono cose che si dicono spesso sì, ma in questo caso sono anche vere. Qualche loro collega più celebre, prendete il termine con le pinze, ci aveva già raggiunti quest’anno: penso alla fiacchissima prova dei Death Cab for Cutie. Per fortuna qui si veleggia verso altri lidi.

Corredato da una copertina brutta come la miseria (un gatto e un maltese indemoniato?) arriva su super-major, Warner Bros. nientemeno, Untethered Moon. Ed è subito nostalgia: i Built to Spill non le mandano a dire e tirano fuori per l’ennesima volta il loro miglior armamentario sonoro e testuale, capace di prendere al cuore senza essere piagnucoloso. Living Zoo vi sembra un brano catalogabile come prodotto da una band emo? Proprio no, con il suo minuto iniziale di favolosa caciara strumentale, accelerazioni e giri di chitarra vorticosi. Poi per fortuna arriva la canzone vera e propria e il cantato e la situazione cambia; le liriche (registrate, come del resto il resto del suono, con uno stile volutamente poco pulito, se non proprio sporco e grezzo) sono una manciata di versi semplicissimi quanto brevi ma tutt’altro che stupidi: Being a human, Being an animal too, Being in a cage, Being a living zoo, Being a person, Being an animal too, Being all alone and, Being all me and you, Cause we’re lions, In our cages, And tigers, In tiny spaces. Vigore e foga da un lato, amara riflessività dall’altro. La storia si ripete sulla breve ma incisiva So, con un attacco che sembra uscito da una jam session anni 70 e altrettanto si può dire della chitarra, quasi in odore di Dinosaur Jr., che sporca gli intermezzi fra una strofa e l’altra.
C’è anche il coraggio di osare con brani particolarmente lunghi, specialmente se paragonati ai canoni del, lasciatemi usare un termine molto vasto, rock alternativo. Ne sono prova i brani posti in apertura e chiusura, All Our Songs e When I’m Blind, sei e otto minuti rispettivamente. La prima è una dichiarazione d’amore alla loro musica, intesa come la musica che li ha formati e ispirati: “This wasn’t supposed to be self-referential. I meant all of our collective songs. Our love of music. I was thinking about growing up and loving music as a fan, not a musician.”. Il ritmo cala rispetto ad altri brani ma certo non l’intensità e non la qualità.
When I’m Blind parte con una chitarra zanzarosa quasi fino al fastidio che saltella sincopata sui primi versi. Versi ancora una volta di una semplicità estrema, una penuria di parole per dipingere la scena di un disastro, “Stars fall down, Burn the ground, No one makes a sound, Waters rise, Drown the skies, No one seems surprised“. Sembra un (lungo, improprio) haiku e in effetti, per ammissione stessa della band, l’effetto è quello. La chitarra dell’intro si prende tutto lo spazio possibile e arriva a suonare quasi come una sega cantante.
Da segnalare anche l’ottima On the Way, alternante con rara intelligenza momenti melodici e suono ruvido.

Che dire? Che siate fan della prima ora o che semplicemente vi piaccia l’alternative rock intelligente e originale, Untethered Moon fa al caso vostro. Creatività, equilibrio, classe da vendere, singolare capacità di dire tanto con poco: bentornati Built to Spill.

Tracce consigliate: On the Way, When I’m Blind