Otto anni di attesa, di singoli occasionali, di demo rivisitati, ed infine l’annuncio dello scioglimento. Si stavano affievolendo le speranze in un quinto album, quando nell’arco di due giorni arriva un (falso) annuncio, pochi fortunati ricevono per posta un CD criptico di un’unica traccia, poi il vero annuncio: Science Fiction, pubblicato a sorpresa, è il nuovo, ultimo (?) album dei Brand New. Il metodo di lancio e distribuzione è totalmente in linea con quello che il quartetto di Jesse Lacey è diventato col tempo, cioè una delle poche band ad aver segnato così tanto e così a fondo la scena emo dei primi anni 2000 che a questo punto, con un’etica e un’etichetta proprie (Procrastinate! Music Traitors), può permettersi pause e metodi poco canonici. Come giustificare, quindi, l’importanza che i Brand New hanno acquisito con gli anni?

Concorderemo sul fatto che le annate 2015-2016 siano state particolarmente proficue per la corrente definita emo revival, e la crescita d’attenzione verso un genere precedentemente demonizzato e travisato è da attribuire all’ascesa di band come The World Is a Beautiful Place, The Hotelier, Tiny Moving Parts ma anche ai grandi ritorni di American Football e Mineral; a questi è seguita un’ondata che ha quasi del tutto saturato il genere in pochi anni (non molte, oltre ai Sorority Noise, le uscite estere del 2017), potenzialmente compromettendo l’imminente lavoro dei meno giovani Brand New. Brand New che, però, si può dire siano sempre stati un passo avanti al resto delle band nate con loro. Certo, Your Favorite Weapon è un bell’esordio ancora ancorato al pop-punk ma, mentre Deja Entendu già cambiava le carte in tavola in fatto di sofisticatezza compositiva, temi e riferimenti culturali, è col capolavoro The Devil and God Are Raging Inside Me che i Brand New in un certo senso chiudono la corrente emo anni 2000: un album che definisce un genere nel momento in cui lo sorpassa, la cui lotta interna abbraccia i temi della morte, della fede e della malattia mentale con una lucidità mai morbosa; in sostanza, un disco che per molti, soprattutto a posteriori, diventa immortale e segna (la fine di) un’epoca. Difatti il quarto album, Daisy, estremizza ancor di più il distacco da un genere univoco, fornendo ai Brand New il metodo col quale, nel 2017, riescono a rimanere rilevanti anche col nuovo Science Fiction: i Brand New sono una band emo, ma non sono mai stati solo una band emo.

Infatti si sente molto folk nell’album d’addio della band di Long Island; i toni sono più sommessi, le voci (molto spesso armonizzate) si riducono a poco più che sussurri. Jesse Lacey ha smesso quasi del tutto di urlare – lo fa quando rivendica di essere “not just a manic depressive” nel brano più pop-punk e canonico del lotto, Can’t Get It Out, e più avanti in Same Logic/Teeth, un pezzo che parte in sordina con una chitarra acustica ed esplode in un crescendo che lo rende uno dei pochi davvero arrabbiati del disco. La presenza della chitarra acustica è chiaro segnale di un approccio diverso rispetto al passato, ma è un approccio che non guarda tanto alla classica tradizione cantautorale quanto allo slowcore e all’indie rock degli anni ’90, alle linee sporche dei Modest Mouse, dei Built to Spill e persino dei Neutral Milk Hotel (Waste, Could Never Be Heaven) e, in qualche caso, ad una versione rivisitata dell’americana e del country (Desert, 451). Rimane l’ossessione per i demoni (mentali e non solo), per gli elementi criptici, biblici e mitologici, per gli scenari post-apocalittici e post-nucleari (“I prayed and prayed when God told me to love the bomb” canta in 137, citando Il Dottor Stranamore), ed è un’ossessione che si fa sempre più disturbante laddove alcune atmosfere e sample disturbanti richiamano addirittura gli Swans, i Godspeed You! Black Emperor o gli Have a Nice Life (Lit Me Up, No Control). Proprio come col post-rock più oscuro, la struttura stessa dei pezzi rifugge dalla linearità: non solo sample, ma anche innesti vagamente psych/shoegaze (Waste) e outro diametralmente opposti al resto del brano (Out of Mana, 137).

L’addio al mondo della musica è affidato al lentone finale, Batter Up, ma è argomentato meglio – tra un elemento simbolico e l’altro – nel testo di In the Water, che racconta la lunga e difficile gestazione dell’ultimo lavoro: “I don’t want it enough, so everyone will wait”. È un addio che sa di resa, di maturazione che non sempre corrisponde ad una guarigione, che è chiaramente un epilogo ma lascia spiragli aperti sul finale. The Devil and God era stato il canto del cigno dell’emo degli anni 2000; Science Fiction potrebbe addirittura essere quello dell’emo revival degli ultimi anni. È ovviamente troppo presto per trarre questo tipo di conclusioni, perché gli album e i generi devono trovare il tempo per maturare, eppure ancora una volta ci ritroviamo ad un bivio che i Brand New attraversano scegliendo di ignorare le regole della strada, fuggendo dai canoni – e proprio per questo lasciano gli altri a mangiare la polvere.

Tracce consigliate: Batter Up, 137, Lit Me Up