Dev Hynes dev’essere uno a cui le etichette, gli stilemi fissi non devono piacere. Una gioventù da vittima di bulli tanto violenti da mandarlo in ospedale più di una volta lo hanno diretto ben lontano dalle scontate carriere da rapper più o meno gangsta o da attore di Blacksonblondes.com e spinto invece ad intraprendere una interessantissima carriera nel mondo dell’indie rock meno convenzionale, imbastardendolo a suo piacimento. Dal 2007 lavora sotto il monicker Lightspeed Champion, collabora a titolo personale con nomi importantissimi dello star system (Chemical Brothers, Florence Welch, Basement Jaxx) e pubblica due album e due EP, tutti piuttosto favorevolmente accolti dalla critica. Quando l’ispirazione per il progetto Lightspeed Champion sembra in discesa, il nostro si reinventa con una direzione votata all’elettronica, ed eccolo qui già al secondo album come Blood Orange.

Raccolto un manipolo di amici d’alto profilo coi quali collaborare, pubblica il coraggioso Cupid Deluxe, dalla copertina ancora più coraggiosa. Sgombriamo subito il campo dai dubbi: la parola d’ordine di quest’album è essenzialmente una, anzi due. Anni ottanta. Già dalla grafica si respira un’aria che non può che ricordarci, se non il glorioso decennio, perlomeno tutti gli artisti che negli ultimi anni lo hanno evocato prepotentemente, uno su tutti il gruppo di Andrew Butler, Hercules and the Love Affair, la cui musicalità eccheggia a più riprese fra i solchi di Cupid Deluxe. Si prenda ad esempio la funkeggiante e ballabilissima Uncle ACE o Chosen cantata insieme alla onnipresente Samantha Urbani, dal romanticismo inerte, incapace di agire. Come unire una sensibilità morrisseyana e ritmiche da lento discotecaro anni ’80 in un colpo solo sfornando un brano azzeccatissimo che non fa pesare per nulla all’ascoltatore i suoi sostanziosi quasi sette minuti di durata.
Oltre alla Urbani, vocalist melliflua, interprete capace di ricavare il proprio spazio con grazia, fanno sull’album la loro comparsa personaggi del calibro di Dave Longstreth dei Dirty Projectors su No Right Thing, un tripudio di vocalizzi maschili presi a prestito direttamente da Prince su un ritmo essenziale e tribaleggiante con l’aiuto della Urbani nel refrain. Non avevo forse detto che su questo album la talentuosa fidanzata di Dev Hynes è praticamente ovunque? O ancora Caroline Polachek  dei Chairlift su Chamakay, stupendo brano pop smooth ed elegante posto in apertura a fungere da chiaro manifesto di ciò che aspetta l’ascoltatore durante i 50 minuti seguenti.
Pop, disco, funk, spruzzate di jazz ma Dev Hynes non si dimentica di stuzzicare anche con l’hip hop e lo fa con l’aiuto dell’MC Despot (pupillo di un certo El-P) su Clipped On, talmente carica di espressività e feeling newyorkese da sembrare rubata a quel capolavoro senza tempo che è Illmatic di Nas e con il poliedrico artista anglo-nigeriano Skepta per un brano, High Street, malinconico e minimale, caratterizzato dalle tastiere suonate sempre dalle manine d’oro di Devonté.

Nonostante tutto, tocca rendersi conto che non sono veramente gli anni ’80 e, comprese le giacche in lamé, non è tutto oro quello che luccica: qualche piccola pecca c’è, qua e là. Il tiro delle prime perfette canzoni è difficile da mantenere e nella seconda parte dell’album un po’ di stanchezza si avverte a livello compositivo generale: niente di drammatico se consideriamo la qualità media. Alla prossima festa revival non vergognatevi di sgomitare fino al DJ per chiedergli di attaccare il vostro iPod e suonare la vostra preferita da Cupid Deluxe, tornare in pista e muovere il culo insieme al/la vostro/a amato/a asciugandovi una furtiva lagrima ogni tanto.

Recommended tracks: Chamakay, You’re Not Good Enough