Silenziosi banchetti, week-end al neon ed intimità mai ritrovate. Se fate parte di quella categoria di persone che ha vissuto la seconda parte del decennio ZeroZero con addosso skìnni scimmieschi, superga grigio fuliggine e che riusciva a camminare solo a tempo di sedicesimi allora il quartetto londinese occupa sicuramente un angolino nel vostro cuore (in caso contrario fottesega). Dopo avervi fatto saltare con “helicopter”, limonare duro con “so here we are”, avervi fatto dubitare della vostra identità sessuale passeggiando per “kreuzberg” e fatto vagare in interminabili introspezioni alla ricerca di un bagliore blu, signore e signori, i Bloc Party son tornati.

Sono ormai passati  4 anni dal loro ultimo lavoro, un tempo sufficiente per aspettarsi un album con qualcosa di concreto da dire (insomma non stiamo parlando dei Kasabian) ; ma la storia ci insegna che non tutto va come dovrebbe: nel 2008 Intimacy, che doveva rappresentare una nuova alba per la band inglese, la ricerca di un nuovo  suono, una rottura col passato, si è rivelato alla fine nient’altro che un esperimento mal riuscito. Con Four i 4 londinesi ci riprovano ancora una volta; un po’ cambiano suono, un po’ riciclano le atmosfere fortunate dei primi due lavori; l’impressione generale è che alla fine dei conti i Bc abbiano veramente poco da dire di nuovo, e la cosa più triste è che probabilmente loro sono i primi ad averne coscienza (chi ha visto il live a NewYork del 9 agosto sa di cosa parlo).  Il primo ascolto lascia un po’ storditi (soprattutto se per voi questo nuovo lavoro dei bloc party rappresentava il tanto atteso ritorno). La sensazione è che alcune canzoni siano state inserite nella produzione  totalmente a caso, un equilibrio non trovato, il tentativo  di virare verso sonorità più spinte ed aggressive, senza però centrare il bersaglio; insomma, un suono che nulla ha a che vedere con l’intimità a cui Kele e soci  ci hanno abituato in passato. Brani come “Kettling” fanno male alla salute; sentire l’assolo finale di Russel in stile Darkness, mi ha tolto diversi anni di vita (“WeCansibrwdfks UOOUOOO” BEL RITORNELLO †); altri momenti  di totale inadeguatezza li abbiamo con Coliseum, intro blueseggiante dal retrogusto desertico, che finisce per sfociare in una accozzaglia di riffoni da Veri-metallari (spiegato finalmente il nuovo Viril-barbuto look di Gordon e Russel). Ma dove cazzo sono i DELAYYY, doveeeeeeee?!!!! Arrivano in soccorso Day Four, Truth  e  Real Talk; brani che timidamente brillano del malinconico ricordo di quasi dieci anni fa, ma che, nonostante tutto, hanno la capacità di riportare i fan di vecchia data a vagare ancora una volta senza meta per le strade al neon della Metropoli. Al quarto ascolto, il rifiuto lascia spazio ad una rassegnata necessità di salvare il salvabile: se avrete voglia di cercare potreste ritrovare un Kele che sà ancora emozionare tra falsetti e urla corali (3×3) , un Matt onnipresente nella sua precisione, un Gordon……, ed un Russel che quando vuole sa ancora confermarsi un effettista dall’innato talento (lo stacco finale della traccia di apertura So he begins to lie mi ha squarciato il cuore).

Da una parte Four è un album “sfortunato”:  sente il peso delle aspettative, e la necessità di una rivalsa nei confronti di Intimacy; dall’altra è un album “stupidamente” mediocre,  che lascia l’amaro in bocca per l’ennesimo passo falso fatto da una band dall’indubbio potenziale. Nonostante tutto, devo dirvelo, Four  a tratti è riuscito comunque ad emozionarmi, e se avete amato i Bloc Party e la loro adolescenziale malinconia, siate buoni, passate a salutarli un’ultima volta; sarà un po’ come rivedere un vecchio amico con cui non avete più nulla in comune, ma che comunque sempre amico rimane.

Vi voglio bene.