Scott Cortez può essere ritenuto uno dei più grandi interpreti dello shoegaze degl’ultimi 20 anni, senza se e senza ma. E’ riuscito a portare avanti due progetti musicali , entrambi ancora in attività, che hanno rappresentato una possibile direzione dei fissatori di scarpe, dopo l’esplosione atomica di quel Loveless dei My Bloody Valentine. Coltri di muri sonori, turbini di motori, echi d’angeli, sperimentando e manipolando il rumore. Bloweyeslashwish dei suoi Loveliescrushing datato 1994 è l’apice artistico e sonoro del genere che negli States, fino ad allora, aveva i suoi maggiori rappresentanti nei sonici Swirlies, e nei sosia sanguinanti: Medicine. Il punto focale del disco è l’uso massiccio dei synth a dispetto delle chitarre fuzzy e una voce femminile forte, ma totalmente sommersa dal tumulto esagerato, dove molto spesso sembra che il canto si limiti a vocalizzi e non a testi veri e propri; i passaggi ambientali, ma comunque pieni, delimitano il punto più sperimentale del lavoro.

Passano 7 anni e dopo un altro disco con i Crushing, Cortez forma gli Astrobrite, con quel grandioso debutto che fu Crush (poi ri-editato come Supercrush). Con questo progetto vengono ribaltati i due strumenti base: la chitarra fuzzeggiante risalta rispetto ai synth. La sperimentazione che su mbv, sembrava un’ulteriore evoluzione del genere (Vedi In Another Way e Wonder 2), in questo album erano già presenti: ritmi jungle, suoni magmatici e liquidi, ripetizioni ossessive di denso rumore. Con i successivi Pinkshinyultrablast, Whitenoise Superstar, Boombox SupernovaAnd The Stars With Fall, la sperimentazione tra i primi lavori dei Lovesliescrushing, la jungle, delle trame più dark, fino ad accarezzare delle sfumature con certo blackgaze e l’utilizzo dei droni, ha continuato imperterrita, creando dei piccoli capolavori che probabilmente resteranno fini a se stessi.

Dopo questo lungo e doveroso background, passiamo a parlare dell’ultima uscita: Deluxer, che non avanza o indietreggia, ma semplicemente si sposta un po’ più in la. Gli esperimenti di rumore sono presenti, ma non più fine a se stessi, riuscendo a contenerli e a sfruttarli al massimo. Le canzoni, finalmente, possono essere chiamate tali e non più solo giochi sonori, accantonando la ricerca per lasciar spazio alla godibilità d’ascolto. Critico molto spesso la poca ricerca dei gruppi, soprattutto dopo canzoni o album dove c’era un parvenza di evoluzione stilistica ma in questo caso, per gli Astrobrite, no! La continua sperimentazione e dedizione si è sfogata in questo lavoro più “””pop””” (con le dovute virgolette).

Le due voci (maschile e femminile) si mescolano e si completano, la violenza dei wall-of-sound si è placata. Non spicca in qualità nessun pezzo, ma nessuna traccia è da lasciare indietro. Uno shoegaze totale, al passo con i tempi, un genere che negl’ultimi 5 anni era talmente vecchio che ha avuto nuova linfa e amaramente, ma che giustamente sta cominciando ad inabissarsi nuovamente, sperando, in futuro, di riemergere più forte di prima, spazzando via tutto come un Gojira qualsiasi.

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