And So I Watch You From Afar è un nome che, già solo a sentirlo, più o meno avrete capito. Avrete capito che il nome lungo – causa di molte paresi facciali dovute alla sua pronuncia – urla post-rock a tutto spiano, e che una band con un nome del genere non può che comporre musica strumentale. E ci siete andati molto vicini, ma non troppo: più che post-rock, il quartetto di Belfast fa un math rock dalla personalità unica, e più che strumentale si avvale di cori, quei cori che rendono così caratteristici e così orecchiabili dei brani che, a livello di rumore, non fanno invidia al metal. Poi, se gli ASIWYFA li conoscete già da Gangs (2011), lo so che una sessione di headbanging molesto in cameretta su Seven Billion People All Alive at Once non ve l’ha tolta nessuno.

Se Gangs non l’avete ascoltato, se gli ASIWYFA non li avete mai ascoltati, allora Heirs vi piacerà, vi sorprenderà con le sue chitarre pungenti, acide e incalzanti, e più di tutto vi sorprenderà scoprire che il mondo del post-rock non è solo atmosfere cupe e lacrimoni (i feels!), ma può essere anche solare e prestarsi all’esperienza di gruppo (un po’ come intonare i coretti di Wake Up degli Arcade Fire, ma più hardcore). Se siete già abituati agli ASIWYFA e al sound che li contraddistingue dai primi due secondi d’ascolto, allora forse ve lo aspettavate che non sarebbe cambiato molto e che sarebbero rimasti sempre fedeli a se stessi, ma magari siete comunque rimasti un po’ delusi da Heirs. Questo per ricordarci che il giudizio è sempre relativo, ma che è sempre importante parlarne.

Heirs infatti si apre con Run Home, che ricorda molto – anche troppo – i chitarroni di Gangs, e fino a Wasps l’atmosfera è quella: tre brani che confermano lo stile inconfondibile degli ASIWYFA e quello leggermente più rifinito di All Hail Bright Futures del 2013, che si fa sentire nelle atmosfere più sognanti di Wasps. Con Redesigned a Million Times le cose iniziano a cambiare, i ritmi si fanno meno asmatici e le voci più indie pop (strano, ma funziona) e le variazioni sorprendenti ricordano le frange più sperimentali del post-rock. La stessa cosa succede nell’eponima Heirs, che nei suoi sette minuti racchiude una struttura decisamente post-rock con accenni ambient, con le chitarre di Rory Friers e Niall Kennedy che quasi si sfidano – una graffiante, l’altra pulita. Le restanti dieci tracce si dimenano tra conferma e novità, tra l’acidità di Animal Ghosts e la leggerezza estiva di Tryer, You, che chiude l’album in modo totalmente opposto a come l’avevamo visto aprirsi.

Che siate ascoltatori incalliti o neofiti del genere, su dei punti saremo d’accordo: Heirs è un album che scivola benissimo, con i suoi 43 minuti che non pesano mai, e sono brani che funzionerebbero benissimo dal vivo, affini alla carica che gli ASYWYFA sanno portare sul palco. Per metà nuovo, per metà vecchio, Heirs osa senza mai staccarsi dalle sue radici math rock: poi sta a voi decidere quale parte vi convinca di più, ma rimane, nel complesso, un ascolto più che gradevole.

Tracce consigliate: Heirs, Tryer, You