Nel 2008, esattamente dieci anni fa, Tiziano Ferro ci stava già avvertendo: “Il mondo va veloce e tu stai indietro“. Ora, andando così a memoria, non mi pare si riferisse all’overload di informazioni cui quotidianamente siamo sottoposti, né tanto meno a un mercato discografico satollo di musica perlopiù liquida. È impossibile negare, però, che non avesse ragione. Grazie Tiziano, io faccio del tuo insegnamento tesoro e cerco di portare sulla retta via qualche pecorella smarrita, ché oggi è un attimo girarsi dall’altra parte e scoprire che è appena uscito il nuovo disco di Gué Pequeno.

Ora che l’estate è finita, quindi, abbiamo per voi 12 dischi elettronici, in senso molto lato, usciti negli ultimi mesi e che non potete proprio perdervi.

Yves Tumor – Safe In The Hands Of Love

Sono in difficoltà e non mi vergogno ad ammetterlo. Non so come iniziare a descrivere un lavoro così variegato ed eterogeneo e lascio dunque che sia Yves Tumor stesso a raccontarsi: “I look so different/Inside my own living hell/It means so much to me/When I can’t recognize myself”.
Un percorso artistico che inizia da PAN (e dove, sennò?) e arriva a Warp, con tutti i trasformismi e le contraddizioni del caso, qui più che mai, punto di forza dell’intero progetto. Ora noise e ora drum sincopate, ora pop e ora drone, ora songwriting e ora rigurgiti techno, il tutto immerso nell’avant più schizofrenico e tenebroso eppur, in un certo senso, dolce. Già nell’ossimoro del titolo, Safe In The Hands Of Love, è racchiusa la totalità artistica, poi esplicitata nelle sonorità difficilmente accoglienti e al contempo godibili del lavoro: non siamo “safe”, ma proprio per niente, eppure non siamo soli. Uno dei dischi (ed artisti) più interessanti del 2018 e non solo.

Skee Mask – Compro

Breakbeat, jungle, IDM e tante atmosfere rarefatte prese in prestito dall’ambient più sentimentale. No, non è un’utopia, è realtà e si chiama Compro: l’ultimo, bellissimo, lavoro di Skee Mask. Il producer di casa Ilian Tape si era tolto la maschera fisica già da un po’ di tempo, ma è con questo LP che rivela sinceramente il suo essere interiore, attraverso la sua arte. I beat si costruiscono su uno spettro di possibilità che pare infinito, e picchiano duro, sempre con classe magistrale, mentre tutt’intorno melodie minimali, tra la malinconia e la speranza, abbracciano l’ascoltatore con i loro caldi riverberi. Un connubio non innovativo, certo, ma realizzato in maniera talmente intima, con così tanto cuore e tanta anima, che non può lasciare indifferenti.

Leon Vynehall – Nothing Is Still

Che producer e DJ, generalmente associati al club, amino esplorare territori ambient non è più una novità; fatico però a trovare qualcuno che lo abbia fatto con il gusto e lo stile di Leon Vynehall. Nothing Is Still (fuori via Ninja Tune) nasce come colonna sonora della migrazione dei suoi nonni dall’Inghilterra a New York e si permea di tutta la paura e la speranza che solo un’esperienza del genere può far concepire. Il producer dirige archi, fiati, pianoforte, addentrandosi in lande tipicamente classiche ma sempre delicate e ben lontane da un altisonante barocco. Le percussioni sono dosate col contagocce e, quando irrompono, lo fanno con un offbeat garbato ma al contempo destabilizzante. Nothing Is Still è un disco personalissimo, difficile da catalogare, imperdibile.

Djrum – Portrait With Firewood

Lo dico subito, per sicurezza: se state cercando un ascolto facile, passate oltre. Se invece, come spero vivamente, siete disposti ad imbracciare la stessa predisposizione che si confà alla visione di un film impegnato, avete trovato pane per i vostri denti. In Portrait With Firewood (fuori su R&S), Djrum dipinge un’enorme tela multicolore: UK bass, jungle, breakbeat, drum’n’bass, quadretti classici di pianoforte e archi, sample vocali, senza soluzione di continuità, all’interno di tracce dilatate. Ascolto dopo ascolto si svelano i layer di un disco che sorprende per la cura maniacale di ogni dettaglio (cover in primis). Portrait With Firewood è grandioso e fragile, altamente “visivo” (non per nulla ispirato dai lavori di Marina Abramovich), figlio di una ricerca ardita, una raccolta di racconti brevi uniti da un fil rouge: il talento cristallino di Djrum.

Amnesia Scanner – Another Life

Da qualche anno a questa parte gli Amnesia Scanner ci abituano a un’indefessa destrutturazione della club music. È in Another Life – debutto sulla lunga distanza a cura di PAN – però, che tutto viene portato all’estremo. Le voci pitchate sono esasperate, i synth mettono la freccia e superano l’EDM, le melodie pop si distorcono e si accartocciano su loro stesse, i beat, quando presenti, si sgretolano e ricompongono in strutture metriche poco confortevoli, il tutto sempre mantenuto in equilibrio da una produzione notevole. Il massimalismo musicale diventa lo specchio dell’apocalittica società in cui oggi ci lasciamo barcamenare: tecnologia fuori controllo, ansie contemporanee, capitalismo che tutto fagocita. Eppure, o anzi proprio per questo, ogni pezzo suona minaccioso eppur accessibile, subdolamente familiare, impossibile da mettere in pausa, come quando scrolliamo i social network senza neanche sapere perché lo stiamo facendo.

Grouper – Grid Of Points

C’è poco da fare: non c’è disco, canzone, momento, nella discografia di Grouper che non mi abbia commosso. Grid Of Points non aggiunge nulla di nuovo a quanto già sentito negli ultimi lavori di Liz Harris: è un fragile libello di 20 minuti, composto da haiku pianoforte/voce immersi nel riverbero e nel silenzio della solitudine. E poco importa se spesso sia difficile distinguere le parole della cantautrice; ciò che importa, per l’artista e per il fruitore, è che questa terapia venga portata a termine. Sussurri a se stessi, compagnia nel vuoto, magra, triste, dolce e necessaria consolazione. Mi sono commosso di nuovo.

Blawan – Wet Will Always Dry

Techno, techno e ancora techno. Del resto, cosa vi aspettavate da Blawan?
Wet Will Always Dry pulsa di 4 to the floor, certo, ma sempre nobiliare. La furia analogica del producer viene calibrata al centesimo di millimetro con un gusto che non scade mai nello stereotipo. Sentimenti industriali ed EBM, crudezza umanamente analogica, synth fuori tonalità e drum spietate: la techno è creta e si plasma nelle ormai sapienti mani di Jamie Roberts, il quale sta spingendo i limiti del genere sempre un po’ più in là. La cifra stilistica di Blawan risplende in queste otto tracce che ribalteranno qualsivoglia dancefloor, meglio arrivare preparati.

Aïsha Devi – DNA Feelings

Spiritualità, energia ipnotica e moti corporei. Lungo l’ascolto di DNA FeelingsAïsha Devi ci prende per mano e ci porta all’interno di un club abbandonato, ora sede di un nuovo culto. Fuori dal tempo e dallo spazio, le composizioni creano moti di trance, estasi, inquietudine, tranquillità; la voce di Devi, manipolata, trascende qualsiasi categoria e si eleva a robotica divinità, affiancata da percussioni destrutturate e ambienti ampissimi. È musica che parla al corpo, alla mente e, soprattutto, all’animo.

Ross From Friends – Family Portrait

Non so quanti di noi abbiano avuto genitori che, negli anni 90, giravano l’Europa organizzando party e che a casa ascoltavano musica dance di ogni genere (rave, breakbeat, techno). Ecco, Felix Cleary Weatherall, in arte Ross From Friends, li ha avuti, e sono stati la principale fonte di ispirazione per questo Family Portrait, manifesto di uno dei paladini del movimento lo-fi house. Tanta bassa fedeltà nei beat club-friendly e tanta tanta melodia, prevedibilmente, ma anche una produzione oculata e una sorprendente varietà nelle tracce, rendono questo disco perfetto per gli ultimi sprazzi di bella stagione.

Laurel Halo – Raw Silk Uncut Wood

In pochi/e possono vantare il curriculum artis di Laurel Halo: techno, dub, pop, cumbia e tutte le contaminazioni free del caso a fungere da collante. In Raw Silk Uncut Wood, però, l’artista si focalizza semplicemente sull’ambient, quello originario, quello elettroacustico e minimale che vorremmo ascoltare in sottofondo all’aeroporto. Nel mezzo dell’ascolto troviamo sì qualche sinistro divertissment ad un pianoforte ora jazzy, ora subacqueo, ora noisey, ma il vero cuore sono i 10 minuti di pad che aprono il disco e i 10 minuti di pad che lo chiudono, sempre cullandoci in atmosfere amniotiche. Mettetelo in sottofondo, qualsiasi cosa voi stiate facendo.

DJ Richard – Dies Iræ Xerox

Ancestrale, claustrofobico, oscuro. Dies Iræ Xerox, è un odierno medioevo dominato dalla magia nera e dall’esoterismo, ridipinto da DJ Richard con una grazia e un’abilità rare. Senza sorpresa, i pezzi drum-oriented sono minimali, precisissimi e fanno il loro sporco lavoro, ma è con l’ambient che l’ascolto tocca le corde più profonde dell’animo umano, donando anche un po’ di speranza. Un disco vasto, da esplorare in ogni sua direzione, e un produttore/DJ che meriterebbero sicuramente più visibilità.

Luca Lozano – Boss Moves

Io gli anni ’90 del clubbing non li ho vissuti, perché negli anni ’90 ci sono nato. Se fossi un raver di quei tempi, però, e ascoltassi Boss Moves di Luca Lozano nel salotto di casa mia, una lacrima nostalgica segnerebbe il mio viso. Acid, jungle, tribal, trance, bpm per tutte le orecchie. Il doppio EP è un pamphlet puntualissimo indirizzato a tutte le età e a tutti i gusti, compendio di otto tracce potenzialmente incendiarie per ogni dj set che si rispetti. Nulla di nuovo, anzi, tutto vecchio e già sentito, ed è giusto così.