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All’estero – si sa – c’è un sacco di ottima musica, la gente va a sentire i concerti e gli artisti validi si pagano affitto e pasti senza fare i cassieri al Billa. In Italia no, e lo sappiamo fin troppo bene. Perché? Perché “buuuuu qui fa tutto schifo, e vaffanculo mi trasferisco a Berlino”? No, perché qui le istituzioni del mondo della musica (produttori, labels, agenzie di booking…) non sono abbastanza sveglie e coraggiose da proporre qualcosa di nuovo. E quando miracolosamente ciò accade, subito lo stile del fortunato innovatore diventa trend, e detta legge per almeno cinque anni, bloccando l’arrivo di altre novità e sfrantumandoci un tantino i coglioni.
In certe città esistono anche scene musicali interessanti, i cui componenti devono però, oltre che suonare per lo più gratis per almeno quattro anni a partire dalla nascita del progetto, inventarsi mille e più modi per ottenere visibilità e autopromuoversi, oltre che, ovviamente, autoprodursi.

In un contesto del genere un progetto come WAOH cade a fagiolo: una manciata di ragazzi che, con umiltà e coraggio, si propone di dare voce al più interessante sottobosco musicale italiano, partendo dal raccontare la scena torinese dalla quale provengono. Il progetto raggruppa dieci band e cinque giornalisti musicali, ed entrambi i gruppi vantano nomi di spicco fra i quali Lumen e Foxhound sul versante artisti, Davide Agazzi di Repubblica e Maurizio Maschi da La Stampa sull’altro. Selezionato il materiale, si passerà all’azione: verrà realizzato un libro fotografico di stampo narrativo, unito ad una compilation già da ora in download gratuito.

Ma come si finanzieranno questi coraggiosi che, ad onor del vero, sono i primi a tentare di offrire ad un più vasto pubblico la possibilità di prendere coscienza della situazione artistica e musicale italiana, incentivando la partecipazione ad una discussione finora rimasta (purtroppo) confinata fra i pochi “addetti ai lavori”? Chiaramente, nel modo più democratico e trasparente del mondo, ossia il crowdfounding, che, se poteva essere una scelta di discutibile efficacia per i gruppi emergenti (portando solitamente solo i già noti a raggiungere gli obbiettivi preposti), sicuramente risulta essere la migliore per un progetto che vuole allargare la partecipazione dei non-conoscitori, avvicinandoli ad una questione che davvero dovrebbe interessare più di un po’.

La scena italiana contemporanea non fa affatto schifo, semplicemente fatica ad emergere, costretta a misurarsi quotidianamente con istituzioni del settore poco accorte e scoraggianti – e le grida d’aiuto giungono un po’ da tutta la penisola: questo WAOH, progetto tanto interessante quanto necessario, si propone di fornire un megafono alle numerose voces clamantes in deserto, e,  non limitandosi soltanto a raccontarci cosa succede a Torino (la cui scena sarà protagonista di questa prima edizione), spera di estendersi all’Italia intera. E lo speriamo anche noi.

Se (come dovreste, miei cari) siete sensibili a questa questione, e volete dare un contributo attivo, i ragazzi di WAOH hanno attivato un crowdfounding sul sito www.indiegogo.com/weareourheroes: vi si chiede sostanzialmente un po’ di fiducia, da esprimersi attraverso l’acquisto anticipato del volume fotografico, dell’LP che verrà realizzato con la compilation o di entrambe le cose. Sono disponibili anche altre ricompense, come un sentito high five, T-shirt artigianali e concerti privati con uno a scelta dei progetti coinvolti.

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Date un occhiata e non siate sordi al richiamo di questi ragazzi, che ogni tanto il cambiamento può non scendere dall’alto, ma essere frutto della partecipazione.