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La revoca della licenza del Fabric è ormai cosa nota, così come l’intenzione dei vertici del club londinese di appellarsi al provvedimento, per ottenere la revoca e, quindi, per riaprire i battenti ed accogliere famelici clubbers e djs.

La campagna di sensibilizzazione sta attraversando mari e monti con conseguente mobilitazione da parte di tutti. A partire dal nuovo sindaco della capitale, fino ad arrivare all’ultimo dei dj, il mondo intero chiede a gran voce la riapertura di uno dei luoghi simbolo del movimento underground.

Sono stati lanciati appelli e hashtag a tema, che nemmeno per i bambini del Ruanda o per le baby-prostitute thailandesi.

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Non soltanto personaggi pubblici o politici, ma anche poveri cristi. Alcuni non hanno nemmeno mai messo piede all’interno del Fabric.

Uno di questi, Tim Griffith, sta aspettando l’autorizzazione del club stesso, per poter piazzarsi fuori dal locale a ballare per 24 ore filate, al fine di guadagnare qualche spicciolo e contribuire, così, alla crociata. A tal fine ha si è anche registrato su GufundMe, per raccogliere i denari utili alla causa, attraverso l’ormai consueto crowdfunding.

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Qui potete trovare tutte le info.

Queste le sue parole:

For many, clubbing is an escape from the mundane, drab 9-5’s we live. Escapism. Breaking free. Expression. It has evolved into a sub-culture which people are proud to be a part of. A new-age heritage. A community. Take away community and what are we left with? Disconnection. For me, the very reason I started clubbing was to escape. I felt little to no connection with anything or anyone in the world around me at that time and yet, through clubbing I found solace and acceptance. I made friends, loved, listened, danced, laughed, cried, probably fell over a few times, knocked a few pints over along the way, and grew into the more assured version of who I am today, thanks to the people I met along the way. None of this might ever have happened had I not found my escape through clubbing.

 

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