Interview-with-Tropic-Of-Cancer

Nel caso non ve ne foste accorti, è appena iniziato il nuovo tour europeo di Tropic of Cancer: il bellissimo progetto di Camella Lobo, affermatosi definitivamente nel 2013 con quel capolavoro di album che è stato Restless Idylls.
Con “27/10 – Milano” come prima data, quale occasione migliore per scambiare due parole con Camella?

È proprio lei ad invitarmi nel backstage dopo il concerto: neanche il tempo di complimentarsi per la performance e decidiamo di sederci ad un tavolo (Camella è vistosamente incinta e “dove sederci” non è stata una scelta esattamente facile).
Il registratore è acceso e possiamo iniziare.

DW: Gli EP Stop SufferingArchive: The Downwards Singles sono le prime release successive al tuo album di debutto, Restless Idylls. Cos’è successo in questi due anni?

ToC: Ah, oh mio Dio! Allora, nel frattempo ci sono stati molti cambiamenti nella mia vita: mi sono trasferita definitivamente a Los Angeles, ho divorziato e mi sono presa una lunga pausa dal lavoro: da febbraio a novembre. Avevo semplicemente bisogno di un po’ di tempo per ripensare a tutto e non credo di aver fatto concerti in quel periodo, a parte un tour in Canada.
Poi nella casa nuova ho anche uno studio e… una cosa tira l’altra e ho ripreso a lavorare insieme a Josh ad un EP per la Blackest Ever Black (l’etichetta per cui è uscito l’LP). Così mi sono messa a scrivere, scrivere, scrivere confrontandomi man mano: ed ecco qui, ora è fatto.

DW: In effetti Stop Suffering è davvero un bel lavoro, congratulazioni!

ToC: [ride, ndr.] Grazie mille! Grazie!

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DW: Ho letto parecchie interviste in cui ti fanno domande sui testi delle tue canzoni. Sicuramente parlano di amore, morte e altri temi molto profondi: possiamo aspettarci una specie di evoluzione da questo punto di vista? 

ToC:[ride, ndr.] Forse la mia musica è più personale rispetto agli inizi, quando i temi trattati erano quasi dei cliché.  Adesso che ho sperimentato molte cose nuove nella mia vita, prima di tutto il bambino in arrivo, mi rendo conto di quanto queste mi fossero sconosciute tempo fa e dunque di come ignorassi la loro bellezza. È perciò inevitabile il loro impatto sulla mia musica: è un processo molto spontaneo che procede per mezzo dei sentimenti che provo ogni specifico momento. E quando questo momento della vita è molto felice…

DW: Com’è il rapporto con la tua etichetta? Ti senti completamente libera quando componi?

ToC: Sì!

DW: Quindi nessuna influenza da parte loro?

ToC: No. Ovviamente penso alla tipologia di etichetta, alla posizione e alla sua storia, ma più mi focalizzo su questo più mi è difficile mettere insieme le parti che ho in mente e dunque procedere. Mi sembra sempre di aver paura di mandare a loro del nuovo materiale.

DW: È come se ti condizionassi da sola, in un certo senso.

ToC: Sì ed è solo dopo centinaia di revisioni da parte mia che mi decido a spedire. Loro sono sempre entusiasti ed il nostro rapporto si è via via rafforzato tanto che ormai abbiamo lo stesso modo di vedere le cose, è un processo molto collaborativo.
Ci sono state alcune incomprensioni, è vero, ma generalmente lo definirei un rapporto molto molto positivo.

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DW: C’è una direzione specifica che stai seguendo? Hai un obiettivo in mente?

ToC: Generalmente fare quello che faccio, non lo so… Spesso penso agli artisti in grado di concettualizzare un’idea e costruirci un intero album attorno ad essa; io non sono capace di fare musica in questo modo, tantomeno di sedermi e pianificarla, per questo tutto è sempre stato assolutamente spontaneo. Sto però provando a focalizzarmi su qualcosa che non possa esser influenzato dalla mia quotidianità e queste tracce dell’EP mi hanno portato via moltissimo tempo, più di tutte le altre che abbia mai scritto, anche considerando l’arrangiamento e la produzione.

DW: Sì! E questo è qualcosa che è facilmente percepibile anche dall’esterno. Adesso l’ultima domanda: venerdì sarai al Berghain a Berlino, so che è sold out (ancora complimenti!).
Hai notato differenze nel modo in cui la gente percepisce la tua musica tra USA ed Europa? Non mi riferisco solamente ai live show.

ToC: Fondamentalmente la musica non se la passa un gran che bene negli States. Forse adesso stanno migliorando un po’ le cose ma ciò che manca è il supporto (in generale) agli artisti.

DW: La situazione è la stessa per entrambe le coste? New York come Los Angeles? 

ToC: Più o meno sì, sai, è davvero dura! Per le band indie rock, ormai mainstream, non ci sono e non ci saranno mai problemi ma per i gruppi più underground non è affatto un bel momento. Prima di partire abbiamo raccolto circa duecento persone per un nostro spettacolo a LA ed è stato un bel successo, forse perché il nuovo materiale è più appealing. Chi lo sa!

DW: Mi stai dicendo che è meglio l’Europa al momento?

ToC: Penso di sì! Dipende molto dalla tipologia di musica e dalla provenienza. Ad esempio Silent Servant, il mio ex marito, è molto addentrato nella scena techno e Berlino, l’Europa, è sicuramente il posto per lui. All’inizio, quando anche lui faceva parte di ToC, ci sentivamo molto supportati da questa comunità che ha senza dubbio il merito di aver portato la nostra musica all’attenzione di un pubblico molto più vasto. Sono tutt’ora molto grata per questo.

Segue una lunghissima discussione in cui Camella ricorda la sua prima performance al Berghain (N.B. non al Panorama Bar dove di solito si esibivano le band), la stessa sera di Andy Stott. Suonavano troppo presto e, siccome a Berlino gli orari sono quello che sono, il pubblico non era dei più numerosi. La volta dopo sold out ed emozioni incredibili così come si prospetta anche quest’anno.

Continuo e finisco parlando dell’ottimo feedback di questa serata organizzata da Elita all’Ex Cobianchi, Camella sembra essersene resa conto ed è felice di ricevere una conferma da parte mia.

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