THEGIORNALISTI_01

Giovedì 20 novembre sono andati di scena i Thegiornalisti all’Ohibò di Milano. Reduci dal successo riscosso con Fuoricampo, il nuovo album uscito via Foolica, la band è in questo momento in tour promozionale per l’Italia.

Prima del live abbiamo avuto l’occasione di scambiarci due parole. Romani di nascita, figli degli ’80 e di Venditti, ci hanno raccontato chi sono, cosa fanno e dove vanno. Una discesa in profondità nel loro rapporto con la musica e la loro romanità, passando per i simboli dell’era moderna.

DW: Allora, Thegiornalisti.. Ho letto che c’è un filosofo tra di voi. C’è anche un giornalista? 

THEG: Sì, c’è Tommy che è il filosofo/giornalista

DW: Siete dei cronisti o dei critici?

THEG: Siamo dei cronisti, ma un po’ tutti e due. La gente ci vede anche un sacco di critica nei nostri dischi. Come i vecchi album, anche questo parla sia di esperienze personali, sia di ciò che vediamo. Tommy esce apposta per poi scrivere dei testi.

DW: Come si passa dagli anni ’60 agli anni ’80?

THEG: Accelerando e stufandosi di quello che si è fatto prima. Il passo è facile.

DW: Gli anni ’80 sono stati una scelta o un’illuminazione?

THEG: Bella questa idea dell’illuminazione. A dire il vero è stato molto graduale il passaggio da Vecchio a Controcampo, Fuorigioco (ridono, ndr.). Il nostro disco vuole essere un disco moderno e siccome gli anni ’80 sono simbolo della modernità, è venuto fuori molto anni ’80. Beh, poi c’è una goduria vera nel cambiare le cose. Una volta che hai fatto qualcosa, non la vuoi rifare o ricopiare, a meno che tu non l’abbia fatta proprio male. Non potremmo, infatti, riarrangiare le nostre cose del passato con i suoni del nuovo album. Come se chiedessimo a Thom Yorke di rifare Creep con le sonorità di Codex.

DW: Ho letto che siete fan dei film di Verdone. Dalla, Stadio e Verdone: chi vi ha influenzato di più nei testi e nella musica?

THEG: Noi siamo nati e cresciuti con quei film e con quelle musiche. Ci sono rimaste dentro per un po’ e poi, ad un certo punto, sono venute fuori tutte insieme a 31 anni. Noi in effetti quegli anni ce li abbiamo tutti dentro e li abbiamo vissuti anche negli anni successivi. Alla fine anche oggi, si continuano a sentire gli Spandau. Anzi, vorremmo vedere film più moderni, ma noi siamo rimasti a Verdone e alle 3 di notte ci sono solo i suoi dvd.

DW: Siete romani, ma non sparate in faccia alla vostra origine come altri autori della capitale. Parlando di scuola romana, quale tra Venditti, De Gregori o Califano si avvicina di più alla vostra idea di romanità nella musica?

THEG: Un mix generale. Il modo di scrivere di Califano, col suo modo di vivere, è incredibile. Quando uno vive come lui, può scrivere quelle cose. Forse, però, noi che veniamo dai licei e che non siamo stati obbligati ad andare subito a lavorare, ci sentiamo molto più vicini a Venditti. Musica romana, ma non quella di borgata come si suol dire. Venditti è Roma!

DW: Un’altra costante dei vostri album, che ho ritrovato in “Autostrade Umane” e “Socializzare” è la condizione umana nel mondo. L’uomo è solo promiscuità e bunga bunga o anche altro? 

THEG: Giusta osservazione. C’è da dire, però, che Promiscuità non è il bunga bunga. Promiscuità è soprattutto amore. Un amore di una sera magari, ma pur sempre amore. L’innamoramento istantaneo. Una sorta di tempo delle mele col gioco della bottiglia, ma visto che siamo grandicelli, non potevamo parlare di semplici baci. Tornando a Califano, lui ha scritto cose molto più esplicite (vedi Avventura con un travestito). Se avessimo voluto parlare di semplice sesso con trans e mignotte avremmo scritto qualcosa di più lercio. Quindi, insomma, condizione umana? Andiamo alla deriva, ma con amore. Forse avremmo potuto chiamare il disco Gang Bang.

DW: Avete fatto un album pieno di simboli, come Balotelli, il cyberbullismo o la contrapposizione città/campagna. Che senso date a questo modo di scrivere? 

THEG: Sì, esatto. Per noi è fondamentale. Anzi speriamo di cogliere ancora di più l’essenza del sentimento comune. La genialità della musica sta anche nel saper cogliere il presente. Dobbiamo rappresentare il presente e per farlo dobbiamo intercettare la vita e le esperienze comuni. In fondo anche se siamo diversi, ognuno con le proprie vite, alcune cose sono uguali per tutti. Amalgami il tutto, ci metti un po’ di te stesso e alla fine viene fuori l’opera d’arte. Poi a volte fai solo critica spietata. Siamo Tutti Marziani, ad esempio, è nata dopo che abbiamo visto alcuni leghisti da Santoro, che se la prendevano con chi secondo loro usurpava la loro terra.

Intervista chiusa e partita di calcetto balilla in attesa del live. Ma dormiremo mai?