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Peʻahi si trova nella costa settentrionale di Muai, Hawaii, è uno dei migliori posti al mondo in cui fare surf ed è il titolo che Sune Rose Wagner e Sharin Foo, in arte The Raveonettes, hanno scelto per il loro settimo LP uscito il 22 Luglio. Due danesi di nascita, ma Statunitensi d’adozione, innamorati della California e del suo retaggio musicale. In attesa di vederli dal vivo quest’autunno, abbiamo parlato con Sune Rose Wagner del nuovo album, delle sue fonti d’ispirazione, di musica elettronica, di quando, per poco, non si è trasferito a Roma e di molto altro.

DW: Trovo curioso che, se non fosse stato per la vostra pagina Facebook, non avrei mai scoperto che stavate per pubblicare il nuovo album. Ho anche notato che stavate cercando un graphic designer e un regista tra i vostri fan: per certi versi questo lancio potrebbe sembrare una sorta di esperienza crowdsourced volta a premiare i vostri fan: è qualcosa che avevate pianificato?

Sune Rose Wagner: Non proprio, a dire il vero. Siamo abituati a confrontarci con chi conosciamo per scoprire nuovi registi e graphic designer, giusto per capire un po’ com’è la situazione. È sempre bello poter adottare una prospettiva nuova, inoltre vantiamo una fan base molto eterogenea, perciò finiamo per essere invasi da una pletora di consigli. Alla fine, però, finiamo per fare tutto da soli, diciamo che funziona meglio così.

 

DW: Parliamo del nuovo album. So che non siete grandi fan dei paragoni musicali, perciò ho pensato di metterla giù diversamente: se dovessi paragonarlo ad un film, un quadro, o una fotografia, che cosa sarebbe? Lo avete definito molto rumoroso, potrebbe dunque essere rappresentato dalla dinamicità di un quadro di Pollock o Boccioni, magari?

SRW: Sì, direi che potrebbe essere un Pollock, ma credo che sia più propriamente un incrocio tra la soleggiata California e la guerra del Vietnam. È meraviglioso e orribile allo stesso tempo. Ti smuove qualcosa dentro, crea uno spazio in cui nulla al suo interno è realmente al sicuro, ti può mettere a disagio.

 

DW: Il vostro ultimo album, Observator, è caratterizzato dall’onnipresente tema dell’amore non corrisposto e dalla narrazione di storie di terzi. Nel nuovo album hai continuato ad adottare una sorta di approccio voyeuristico o hai trovato nuovamente ispirazione nella tua stessa vita, magari nel ritorno a L.A?

SRW: Direi che ho tratto moltissima ispirazione dalla mia vita. È sicuramente un album molto personale. Los Angeles e la California meridionale nello specifico sono state una grandissima fonte d’ispirazione. La California è un posto meraviglioso in cui scrivere. Los Angeles mi ha sempre ispirato, come si può sentire in canzoni più vecchie come Ode to L.A e Heartbreak Stroll.

 

DW: Sei notoriamente uno scrittore molto prolifico, a tal punto da percepire il concetto di scrivere un album come opprimente. Com’è che allora scegli quali tracce faranno parte di un album? Cerchi un concept, sia questo nei testi o nel genere musicale?

SRW: È stato estremamente facile scegliere le canzoni da inserire in questo album. Stavolta più che mai. Io e Sharin abbiamo concordato già dalle primissime fasi di lavorazione che l’album avrebbe contenuto 10 o 11 tracce e questo ci ha dato modo di lavorarci più a lungo del solito. Ero solito lavorare 10-12 ore al giorno per 4 mesi, era qualcosa di molto realizzante. Il testo è l’ultima cosa che scrivo, perciò la musica e l’atmosfera sono gli elementi in base ai quali prendiamo le nostre decisioni.

 

DW: Nonostante, tra i due, sia tu a scrivere, Sharin sembra avere comunque un ruolo chiave nel processo creativo: fornisce feedback e funge da faro in mezzo ad una fitta nebbia di musica che viene prodotta ad un ritmo molto intenso. Vi scontrate spesso o nei 12 anni in cui avete lavorato assieme avete imparato a conoscervi alla perfezione e ora tutto scorre liscio?

SRW: In realtà varia moltissimo da album ad album. Certe volte è più partecipe, certe volte meno. Per questo album abbiamo lavorato con un grandissimo produttore, Justin Meldal-Johnesn, che abbiamo conosciuto grazie a Beck, con cui un tempo eravamo soliti andare in tour. Justin è la ragione per cui l’album è diventato ciò che è, spingendomi a continuare a scrivere e a rivedere quanto avevo composto. Ero tremendamente ispirato e creativo e desideroso di creare un album veramente diverso dai precedenti, con arrangiamenti molto particolari e testi intensi. Abbiamo lavorato tutti molto bene assieme.

 

DW: Siete stati etichettati come band che ricorda molto gli anni ’50, ma credo che, nonostante l’influenza delle girl band di quegli anni sia piuttosto palese, siate riusciti a prendere elementi dalla musica di decenni diversi e a sviluppare un sound che fluttua nel tempo ed è contemporaneamente reminiscente del passato e molto attuale. Che ne pensi a riguardo?

SRW: La nostra musica è ora. É il momento in cui viviamo. È dove siamo. Non abbiamo mai voluto sembrare retrò. Siamo una band molto moderna, non registriamo utilizzando vecchi apparecchi, siamo molto legati ai computer e ai sample e cerchiamo di raggiungere grandi cose spingendo la tecnologia al limite. Siamo sempre stati così!

 

DW: Siete grandi amanti del cinema. So che, a parte i film Noir, apprezzate molto Lynch e Wes Anderson, tra gli altri. C’è un film in particolare di cui avresti voluto scrivere la colonna sonora?

SRW: Sono troppi! Ma per nominarne qualcuno direi che scrivere la colonna sonora di Twin Peaks sarebbe stato fenomenale, anche se Badalamenti ha fatto un ottimo lavoro. Apocalypse Now è uno dei miei preferiti.

 

DW: Non siete grandi fan della musica Rock contemporanea, ma nutrite piuttosto una passione per la musica elettronica. Anders Trentemøller è un vostro buon amico, ha remixato alcune delle vostre canzoni e tu hai cantato in Deceive: qual è il motivo di questo amore per il genere?

SRW: Conosco Anders da molti anni e abbiamo sempre voluto lavorare assieme, rispettiamo l’uno il lavoro dell’altro, moltissimo. Vorrei riuscire a scrivere un intero album con lui, un giorno. Credo che la musica elettronica sia interessante perché è in continua evoluzione. Ci sono sempre nuove barriere da infrangere mentre la musica rock, in generale, rimane sempre un po’ all’antica. Devi veramente essere molto creativo e audace per fare della gran musica rock ed è quello che cerchiamo di fare.

 

DW: Hai un tatuaggio di Kerouac sul braccio e sei un grande fan di Jim Morrison. Che mi dici di Sharin? Quali sono i suoi idoli e come l’hanno influenzata?

SRW: Sharin è cresciuta in una sorta di comunità hippie e suo papà era un chitarrista rock, perciò è cresciuta ascoltando Velvet Underground, Rolling Stones, Beatles, ecc. Sharin è una grande appassionata di arte ed ha un negozio online chiamato Hurrah! in cui vende oggetti di design Scandinavo. In realtà non credo abbia molti idoli.

 

DW: State per affrontare un tour negli Stati Uniti e ho letto su FB che state cercando di suonare in Giappone; spero che questo significhi che presto farete un tour mondiale! So che vi piace suonare in Sud America perché i fan lì sono molto caldi e vivaci. Qual è la vostra esperienza con i concerti in Italia?

SRW: Amiamo suonare in Italia. Abbiamo molti bei ricordi dei nostri concerti ed ero solito viaggiarci molto. Ho fatto dei bellissimi giri delle cantine in Toscana e il nostro manager è sposato con una ragazza italiana, perciò siamo andati in Puglia per un matrimonio di 3 giorni, è stato incredibile.

 

DW: Credo che, anche quando due individui stanno guardando la stessa cosa, se il modo in cui si sentono è diverso, questo finirà per cambiare la loro percezione, portandoli a vedere cose diverse: nonostante abbiate vissuto negli Stati Uniti per molti anni e abbiate ormai abbracciato a pieno la cultura, credi che la malinconia associata al vostro essere nordeuropei vi abbia in qualche modo segnati a vita, oppure state cominciando a passare da fare surf sotto la pioggia a fare surf sotto al sole?

SRW: Bella domanda. Sono Danese nel cuore e lo sarò per sempre, ma sono anche in grado di abbracciare nuove culture. Non ho una percezione statica di me, mi piace pensare a me stesso come cittadino del mondo (ride)… Ti dirò che sono anche stato ad un passo dal trasferirmi a Roma qualche anno fa, non sono sicuro del perché alla fine non l’abbia fatto, sarei stato molto felice, lì.