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Incontriamo Joseph Mount in un pomeriggio primaverile milanese che freme per assistere alla loro unica apparizione italiana dopo i riscontri positivi di Love Letters, terzo album in studio del quartetto. Joseph ha tutte le credenziali per essere il bravo ragazzo di turno con la battuta pronta, ma allo stesso tempo il suo essere garbato (polite, per dirla all’inglese) è il valore aggiunto che riflette il meritato successo dei Metronomy .

Non prima di essersi assicurato un buon ristorante italiano nelle vicinanze dei Magazzini Generali.

DW: Nelle vostre prime apparizioni eravate tre ragazzini con un faro sul petto e tanto carisma da vendere. Sembra che in Love Letters il dinamismo degli esordi è stato trasportato in un contesto festoso ma più serio. Cos’è rimasto ad oggi dei vecchi Metronomy?

M: Pip Paine (Pay The £5000 You Owe) è stata una ragazzata. Avevo 17 anni ed un computer, e ovvio, le cose che fai in quegli anni sono le più istintive, ma col tempo cresci e cambia la tua musica. Non si può essere diciassettenni due volte! (ride, ndr) Nel complesso cerco comunque di far convivere questi aspetti con una logica precisa, come accaduto con Love Letters.

DW: A proposito di Love Letters, com’è stata la prima volta in uno studio così rinomato come il Toe Rag? 

M: Faticoso senz’altro, ma con molte soddisfazioni. Una di queste? Forse dopo aver registrato I’m Aquarius. In quel momento ci siamo convinti di aver percorso la strada giusta. Non avendo un concept chiaro in preproduzione sai che il risultato può essere incerto, ma non è stato così. Poi durante la registrazione ci sono sempre alti e bassi, ma continuare a registrare nella nostra intimità sarebbe stato alienante.

DW: Ciò non toglie la presenza di suggestioni di vita quotidiana come in The Most Immaculate Haircut.

M: Sì certo, non nascondo la mia passione nel campionare i suoni che mi affascino, ma cerco sempre di variare la mia esperienza nella registrazione. Sentivamo il bisogno di entrare in uno studio perché registrando puoi percorrere direzioni insolite che in una stanza non puoi cogliere. Poi, è ovvio che continuo a produrre anche da solo nella mia camera!

DW: Quindi qual è stato il momento di Love Letters? C’è qualcosa di personale nel titolo?

M: Su dieci canzoni Love Letters è la nona che è stata prodotta. Dopo aver capito le direzioni che stava prendendo l’album ci siamo resi conto che serviva qualcosa che riassumesse a pieno le intenzioni. Quindi nulla di personale con le lettere d’amore.

DW: Cosa si prova ad essere inserito nella Gondry list? Daft Punk, Bjork, Rolling Stones, Chemical Brothers, Radiohead…

M: E poi i Metronomy! (ride, ndr) Mai mi sarei aspettato di avere l’opportunità di lavorare con un maestro come Gondry. Le sue idee rispecchiavano le mie intenzioni, quindi è stato piacevole in tutto; mi sono reso conto di avere a che fare con un genio che prima di fare qualcosa ha già tutto in mente.

DW: Come vedi Londra oggi?

M: Non vivo più a Londra ma ogni volta che torno la vedo sempre diversa. Lì ogni cosa cambia velocemente, ci sono posti cool che si sostituiscono continuamente ad altri. Non so davvero che succede nel frattempo.

DW: E per quanto riguarda la musica? È vera la storia della psichedelica diffusa nell’appeal di molte band tipo voi o i Temples? 

M: Londra è piena di trend, ma la nostra cover inserita in questo discorso è un caso. Spesso i trend si seguono senza volerlo, in fondo capita a più persone di pensare le stesse cose nello stesso tempo.

DW: Restando a Londra, ci sono persone che credono possiate mirare al successo dei Coldplay, che ne pensi?

M: Che non è la band che aspiriamo a diventare. Ci piacciono sì, ma noi non vogliamo riempire gli stadi, non abbiamo di certo questa ambizione.

DW: Cosa pensi del successo dei videoclip interattivi? Con Il lancio di I’m Aquarius bisognava viaggiare tra le costellazioni.

M: Sì, ma personalmente preferisco guardare un video piuttosto che smanettarci su! Conosco quello di Pharell, ma non credo sia una cosa che farei.

DW: Forse nel caso di Pharrell si tratta solo di marketing?

M: Sì forse. Ma credo davvero che il videoclip è bello così com’è e per le sensazioni che ti trasmette. Non deve essere un gioco interattivo.

DW: Allora cosa farai con tutte le persone che stasera ti immortaleranno con gli smartphone?

M: Gli smartphone? Scenderò dal palco e dirò ad ognuno di buttarlo via (grosse risate, ndr.).