M+A 0caffe

Nella cornice estiva dell’Ypsigrock Festival 2014, abbiamo avuto l’occasione di intervistare gli M+A, una delle band italiane più chiacchierate degli ultimi tempi.

Dopo aver pubblicato attraverso le nostre pagine Colorful, un mixtape molto coinvolgente tutto da ascoltare, la band è stata protagonista al Glastonbury Festival, in line-up con Bonobo e Disclosure, tra gli altri, nonché dell’Ypsigrock Festival 2014 di Castelbuono (PA).

Con Alessandro e Michele abbiamo analizzato la scena musicale italiana e la loro partecipazione al Glastonbury, dei nuovi progetti e di vecchi trascorsi. Godetevela.

DW: Allora ragazzi, benvenuti all’Ypsigrock, come va? È la prima volta qui per voi? 

M+A: Bene, grazie! È la prima volta che siamo qui, sia in line-up che come spettatori, non ci eravamo mai stati prima.

DW: Partiamo dalle prime informazioni utili: come mai vi chiamate M+A e quando vi siete formati? 

M+A: Allora M+A viene dalle iniziali dei nostri nomi (Michele Ducci + Alessandro Degli Angioli, ndr.), siamo di Forlì e ci siamo formati nel 2009.

DW: Ne hanno parlato tutti, quindi affrontiamo subito la questione Glastonbury. Com’è andata? Com’è stato suonare al Glastonbury Festival 2014? 

M+A: Figo, è andato tutto molto bene, di quelle situazioni un po’ fuori dagli standard, non è rilevante la questione del main stage o di pubblico davanti, quello è molto relativo. È più che altro per il fatto che ti esponi ad una stampa e ad un pubblico internazionale, quindi sotto al palco ci sono i big dei big. Per il resto è stato tutto come al solito, a parte la sfacchinata fisica, quella sì che è stata un po’ pesante.

DW: Quindi non è stato proprio – come magari potevamo immaginare – il concerto della vita, fino ad ora?

M+A: Ma no, per noi il concerto della vita non esiste, vanno vissuti uno dopo l’altro allo stesso modo. Cerchiamo di farli tutti al massimo a prescindere dalla situazione. È stato molto importante dal punto di vista di chi assisteva al nostro show: avere davanti a te persone che possono anche cambiarti la direzione e le prospettive di carriera.

DW: La differenza tra suonare in un festival all’estero come il Glastonbury ed uno in Italia come l’Ypsigrock, proporzioni a parte, qual è? 

M+A: La diciamo? Ok, l’organizzazione. All’estero è tutto diverso ma non solo rispetto a stasera, quanto riaspetto alla situazione generale in Italia. Manca quell’aspetto per il quale all’estero, anche se sei una delle band minori tra le minori, sei trattato come se fossi una top band. Anche al Glastonbury, ok che eravamo su di uno stage importante, ma eravamo gli ultimi degli ultimi, tra i big. Detto questo, il trattamento che abbiamo ricevuto è lo stesso che hanno ricevuto i Disclosure, o M.I.A., sia dal punto di vista dei camerini sia per il fatto che hai sempre una persona che ti segue e ti gestisce tutto. Sono standard probabilmente alti, però quando vai in situazioni all’estero anche più piccole il trattamento è lo stesso.

DW: Avete avuto modo di conoscere artisti di fama mondiale?

M+A: Beh abbiamo parlato un po’ con M.I.A., le era piaciuta la cover che avevamo fatto di Paper Planes nel 2012. Abbiamo anche la foto con lei ma ancora non l’abbiamo pubblicata, presto lo faremo. Poi sì, è stato molto simpatica la situazione perché eravamo tutti vicini con i camerini, abbiamo preso un caffè con i Disclosure. Vedi, in questa situazione qui poi potremmo passare per quelli che vogliono fare i presuntuosi, invece a noi non frega un ca**o. Abbiamo conosciuto anche Goldfrapp, ma comunque gli artisti che hanno suonato sul West Holts Stage erano tutti vicini al nostro camerino. Ci aspettavamo in realtà una certa gerarchia a livello di posizionamento, in base all’importanza delle band, invece tutti avevamo il camerino attorno a questo salone comune e sembravamo un po’ amici o fratelli.

DW: Ci tornereste?

M+A: No (ridono, ndr.). A parte tutto, ci torneremmo se fossimo un paio di step avanti. Già un paio di ore avanti in scaletta sarebbe un motivo per tornarci, perché comunque la gente non lo sa che se sei uno dei top artisti è ok, se invece non hai già quell’importanza che possono avere band come i Disclosure, tra il fango, il vento, la pioggia e il fatto che per arrivare da un posto ad un altro ci metti un’ora perché è veramente infinito, tecnicamente parlando ti uccide.

DW: Che progetti avete ora? Continuate il tour, avete progetti riguardo un nuovo album? 

M+A: Allora, con questa data qui abbiamo più o meno concluso la parte estiva. A fine agosto torniamo in UK per 4/5 giorni di tour, e a settembre abbiamo altri concerti sparsi. Il piano è registrare un nuovo singolo: il materiale nuovo lo abbiamo già, stiamo aspettando di capire dove e come registrarlo. Vorremmo cercare di fare il salto di qualità ora. Siamo in contatto con uno studio di registrazione di Londra, loro son presi molto bene, bisogna capire come gestire eventuali dimensioni molto grandi che poi implicano dinamiche del tutto diverse.

DW: Voi siete una delle poche band italiane che è riuscita a fare il salto di qualità all’estero (vedi Glastonbury, ultime apparizioni a BBC London, ndr.). Come vedete invece la situazione della scena musicale italiana?

M+A: Guarda, noi fin dall’inizio ci siamo tirati fuori da questo meccanismo, un po’ perché avevamo altri piani in testa, e un po’ perché l’idea della scena è ciò che odiamo, l’idea di tutte queste band che si spalleggiano a vicenda cercando di apparire tutti amici e fratelli non ci fa impazzire. Apprezziamo gruppi ad esempio della scena di Pesaro come Be Forest o Soviet Soviet, che riescono a farsi notare anche all’estero e non mirano solo all’Italia per vendere 5 album, però, anche lì, questa cosa di far comunella per crearsi un confine dall’esterno non ci piace. A noi non piacerebbe l’idea di far parte di una qualsiasi scena in realtà, che sia essa di Torino o di Londra o di Berlino: ci consideriamo emergenti ma internazionali, siamo piccoli ma siamo piccoli ovunque, non chiusi in un recinto. Noi prescindiamo dai meccanismi italiani e puntiamo all’estero soprattutto perché la nostra musica si adatta a quel mondo lì, le etichette e l’utenza estere cui puntiamo si sposano alla perfezione al nostro genere e al nostro modo di fare. Al che molta gente crede che noi puntiamo ad esempio all’UK perché siamo presuntuosi, ma questo non corrisponde a verità: se ci fosse un’etichetta come la nostra (la Monotreme, ndr.) in Italia non la disdegneremmo mica. È che i meccanismi sono diversi e a noi piacciono quelli a cui puntiamo.

DW: Se poteste scegliere di aprire per una top band, per quale band optereste? 

M+A: Questo è un concetto un po’ “pericoloso” a dire il vero, aprire per il gruppo che ti piace o per il tuo gruppo preferito sarebbe come andare con la ragazza che ti piace da 5 anni, una sera e finisce tutto lì, ci rimani un po’ male. Apriremmo un gruppo che non c’entra nulla a livello affettivo con noi, o con un gruppo che condivida il nostro stesso approccio musicale. Ci siamo trovati molto bene con gli Is Tropical in Italia  (al Magnolia a Milano e  al New Age di Treviso, ndr.), perché oltre a livello di affinità on stage, hanno apprezzato molto il nostro approccio “pop pur non facendo pop”: ci divertiamo sul palco, ci piace che la gente che assiste al concerto si diverta con noi. Detto questo, quindi, apriremmo gruppi che condividono questo modo di vedere, poi di nomi potrei fartene uno oggi, ma forse domani cambierebbe.

DW: Perfetto ragazzi, in bocca al lupo allora! A presto.

M+A: A presto!

Gli M+A sono una band molto ambiziosa, che dalla piccola Forlì sta cercando di esser protagonista a livello internazionale. Le idee sono chiare, e se c’è una cosa più sicura della morte è che, piaccia o meno il loro atteggiamento, sul palco spaccano di brutto, e tutto ciò che rilasciano è di livello molto alto.

Aspettando per rivederli presto in tour per l’Italia, riascoltiamo il loro ultimo album, These Days.

https://soundcloud.com/maband/sets/m-a-these-days