JImmy-Edgar

Sabato gli amici di Le Cannibale hanno portato al Tunnel Club di Milano Jimmy Edgar, visionario dj & producer di Detroit. Nato nei rave della sua città, ha scalato il successo dividendo, prima, la consolle con Kevin Saunderson e Derrick May e poi imponendosi sulla scena con una serie di produzioni trasversali. Glitch, Techno e Funk. Preparatissimo polistrumentista e raffinato sperimentarore è anche fotografo e videomaker. Ci ha raccontato chi è e come si fa.

DW: Ciao Jimmy, siamo la webzine italiana Deer Waves, tutto bene?

JE: Tutto bene, grazie. Sono appena rientrato da Milano, ho passato una serata fantastica al Tunnel Club. È stato un bel weekend e adesso mi aggiorno sulle idee per la settimana.

DW: Allora sei fotografo, designer, videomaker, dj & producer: ma chi è Jimmy Edgar in realtà?

JE: Domanda strana…sono solo uno studente d’arte, non mi attribuisco certi appellativi. Mi piace sperimentare un sacco di stili diversi, spostando spesso il centro dell’attenzione. È una cosa che faccio molto spesso per conoscermi meglio.

DW: Quanto conta oggi essere in grado di spaziare in tutti i campi? È una sfida stimolante?

JE: È stimolante per il bene di tutto il mio lavoro; più divento pratico con i diversi tipi di mezzi di comunicazione, più posso valutare ciò che serve per essere fatto. Lo vedo come una cosa positiva. Ecco, l’unico appellativo che rivendico è quello di studente a vita. È umiliante per me non considerarmi un maestro di qualcosa tranne che continuare il mio apprendimento. Ho fatto un sacco di robe terribili ma sono fiero dei miei errori.

DW: In particolare le arti visive, ti disegni le copertine degli album da solo. Potrebbero esistere senza la musica che li accompagna?

JE: Non li ho fatti da solo in quanto Pilar Zeta (sua grande amica e socia, ndr) è stata di grande aiuto nel mio lavoro e tutto il lavoro dietro a Ultramajic lo facciamo insieme. Non valuto se qualcosa possa esistere con o senza la presenza di qualcos’altro perché ho la percezione che tutto sia connesso; è solo nella nostra mente che separiamo e scolleghiamo le cose. È un mio credo spirituale al quale mi attengo anche in maniera pratica.

DW: Definisci te stesso. Sei un Astrattista? Un surrealista? Un visionario?

JE: Non mi classifico poiché sento di appartenere a ogni parte dell’universo. Questo mi permette di pensare senza limiti. È solo senza immaginazione e credenza che le idee vengono inscatolate quindi cerco di stare lontano da queste atmosfere il più possibile.

DW: Torniamo alla musica, sei trasversale anche nelle produzioni e sei passato dal Glitch alla Techno e all’elettronica, sperimentando costantemente. Come è iniziato tutto? possiamo parlare di evoluzione nella tua crescita e nel tuo stile?

JE: Sì, è un evoluzione. Mi diverte molto creare suoni strani ma ho un background da percussionista in quanto suono la batteria da dodici anni. Ho cominciato facendo i mixtape, registrando e campionando suoni, questo mi ha portato a produrre musica e a esibirmi molto velocemente. Comprare dischi è da sempre una mia passione, mi piace molto.

DW: Quale parte di te scorre nella musica?

JE: Non capisco la domanda. La mia musica è ogni parte di me poiché sono io che la creo.

DW: Le prime produzioni le hai fatte anche con software homemade. Anche questo rappresenta la tua continua ricerca di sè stessi nella musica?

JE: Quello è stato un altro mio tentativo di spingere i limiti del computer. Credo si una cosa normale spingere i limiti e ottenere un senso del territorio, per me si tratta di allargare il dominio del computer per vedere che tipo di manufatti posso portare alla luce.

DW: Quali sono le tue influenze musicali?

JE: Per lo più i miei amici, onestamente. Ma alcuni dei miei artisti preferiti sono Miles Davis, Prince, Pantera, Derrick May, Kraftwerk, B52s, Bauhaus, Aphex Twin e Sophie. Non solo per la loro musica ma per la loro tenacia, per il loro sacrificio e intuizione.

DW: Raccontaci della storia dell’Ultramajic (sua etichetta discografica, ndr).

JE: Ultramajic è nata da un’idea nel dicembre 2012 dopo un viaggio a Machu Picchu. Pilar Zeta ed io avevamo un’idea che di unire arte e musica per creare un’area d’interesse a due vibrazioni differenti, io e lei studiamo la metafisica. Inoltre, un fisico le disse che avremmo avviato un movimento che avrebbe riportato la conoscenza di Atlantis…se questo sia vero o no, ci siamo imbattuti in quest’idea perché ci affascinava.

DW:Alcuni ti hanno definito un’icona pop. Quanto può essere pop un dj/producer di Detroit?

JE: Non posso dire niente perché non sono abbastanza informato su questa cosa, dovresti definire meglio la parola “pop” cosicché io possa commentare. Molte persone associano il pop al mainstream e io non faccio assolutamente parte del mainstream. Uso dei riferimenti culturali nella mia arte e nella mia musica ma non mi sento un’icona importante di questo.

DWJuan Aktins, Kevin Saunderson e Derrick May. Scegline uno e dicci il perché.

JE: Derrick! Adoro la sua classe. È davvero geniale. Inoltre ho visto parecchi suoi set, anche se alcuni non mi sono piaciuti del tutto. È un vero dj perché sa fare il suo lavoro. Siamo molto amici ora e cerco ancora di convincerlo a tornare a fare musica come Rhythim is Rhythim.

DW: Qual’è il tuo remix preferito? E chi vorresti remixare?

JE: Onestamente non ci sono remix recenti che mi piacciono. Non se nemmeno se ne farò ancora. Il remix è un’arte che ormai serve più che altro per promozione. Non li amo molto ma devo dire che il remix per Aden “Whip” e Kris Wadsworth “Its time” suono due buone tracce da dancefloor.

DW: È il compleanno del tuo migliore amico. Scegli un album da regalargli.

JE: Generalmente condivido la mia musica così tanto con i miei amici che non avrebbe senso come regalo di compleanno, ogni giorno è il loro compleanno! Inoltre mi piace creare canzoni per loro.